Il weblog di Gokachu |
lunedì, dicembre 08, 2003
Visto ieri (controcorrente)
Lost in translation, di Sofia Coppola, 2003. Innanzitutto, bisogna inquadrare questo post nel momento storico attuale per comprenderlo. In questo momento le recensioni a questo film sono invariabilmente ottime, tutti si rallegrano per l'eleganza di regia della Coppola, per la discrezione con cui è stata raccontata la storia di quasi amore, per l'interpretazione dei protagonisti, per la divertente rappresentazione del Giappone. Se tutti ne parlassero male queste mie parole sarebbero diverse. Ebbene, il film non è brutto, merita la visione, la Coppola sopratutto mostra che Il giardino delle vergini suicide non è stato un episodio isolato. Però gli elogi mi sembrano eccessivi. Innanzitutto nella prima parte c'è un Giappone visto con occhi americani che non è per niente inedito, e ripercorre pedissequamente tutti i luoghi comuni visti e rivisti (per esempio, molto in peggio, in Wasabi): i giapponesi sono bassi, leggono manga, giocano a videogames assurdi, hanno un'intensità verbale sproporzionata ai contenuti, usano marchingegni strani, scommettono a Pachinko, cantano nei karaoke, e via stereotipando. Di fronte a tanta esibizione di alterità la reazione di Murray, che è in odore di Oscar per questa interpretazione, è una sola: umoristicamente solleva il sopracciglio con aria perplessa. Il suo personaggio d'altra parte è molto perplesso anche nel vedere due tedeschi che conversano fra di loro in sauna; probabilmente il semplice non parlare inglese gli sembra qualcosa di assolutamente ridicolo. Oltre a questo dipinto caricaturale ma che non manca di un certo affetto per il Giappone, il film ci presenta anche un'esile storia romantica tra due persone deluse dal matrimonio e divise dall'età; una storia che non arriverò a definire povera, ma che mi sembra sia stata sopravvalutata un po' da tutti. Anche in questa sezione abbiamo delle macchiette poco convincenti: poco convincente è l'attricetta in Giappone per promuovere il suo film d'azione con Keanu Reeves, messa lì a bella posta per attrarre la nostra antipatia e farci concentrare sulle doti più discrete e più interessanti della Johansson (effettivamente ottima la sua prova), e poco convincente è l'acidissimo personaggio della moglie di Murray, che sarebbe stato bene in un film di genere ma che in questa storia d'amore che si suppone raffinata è davvero fuori posto, inelegantissimo. Insomma, l'idea non era male, ma è trattata goffamente nella iniziale parte umoristica e nella contrapposizione tra i nostri protagonisti e i loro coniugi. Ne esce fuori un film potabile, divertente, fresco soprattutto per le doti registiche della Coppola, ma non all'altezza delle recensioni che riceve. Alla fine, al massimo gli si può dare un sette di simpatia.
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