Il weblog di Gokachu


lunedì, marzo 31, 2008


sabato, marzo 29, 2008


Senza parole

D'accordo, tutti conoscono Dilbert, ma quando ci vuole ci vuole.



mercoledì, marzo 26, 2008
Che ci faccio così vicino a Di Pietro? Oddio!
Elezioni 2008. Io sono qui. E tu dove sei?



venerdì, marzo 21, 2008




Viva il teatro, dove tutto è finto e niente è falso: Lavia racconta Amleto
Un. Monologo. Di. Tre. Ore.
Se dopo aver guardato il voto e aver letto la prima riga di questa recensione state continuando a leggere, significa che avete una particolare affezione per Amleto, oppure per Lavia, o ancora per i monologhi di tre ore. Io rientro nella prima categoria. Se rientrate nella terza permettetemi di invitarvi a rivolgervi a un medico specialista.

Cos’è Lavia racconta Amleto? Si propone di essere una lezione mescolata a elementi di recitazione. Lavia recita tutti i personaggi dell’Amleto intercalando le varie scene con note a piè di pagina e con notazioni filosofiche. E’ un “genere” che si è diffuso molto nei teatri italiani, questo della “X racconta Y” o “Z legge W”, probabilmente per colpa o per merito dell’enorme successo che il pubblico ha attribuito al Dante di Benigni. Mi immagino che effetto possa aver fatto quel successo su attori più bravi e più colti del Robertone nazionale: ma se lo fa lui lo posso fare anch’io. L’ho pensato persino io che in scena non sono sicuramente più bravo di Benigni, figuriamoci cosa deve essere passato nelle teste di Carlo Monni, Paola Pitagora e Gabriele Lavia. Ma veniamo a noi. Lo spettacolo consiste per l’appunto in una scelta di scene dall’Amleto, non completa ma piuttosto nutrita, recitate e spiegate da Lavia, che ci introduce nei misteri della scenografia metafisica del teatro elisabettiano, nel concetto aristotelico di qui e ora, nel paesaggio londinese d’inizio seicento cui Shakespeare fa riferimento. Si scoprono alcune cose che già conoscevamo ma anche altre di cui non avevamo idea: per esempio pare che dicendo “va in convento” Amleto intenda “prostituisciti” e che dicendo “Ninfa, nelle tue orazioni siano ricordati tutti i miei peccati” intenda “Puttana, quando ti masturbi, pensa a me”. E non che lo intenda in modo criptico ma che siano stati modi di dire alla portata di qualsiasi spettatore del Globe Theater.

Non abbiamo motivi per dubitare di questa e altre rivelazioni, ma siccome siamo andati a teatro per vedere, nel bene e nel male, uno spettacolo, veniamo al giudizio di questo in quanto tale.

Lo spettacolo è povero. Da un lato per lo spettatore (e ancor di più per l’attore) è difficile sostenere tre ore di soliloquio; dall’altro le note a piè di margine, che potrebbero far pensare a una “lezione” (al qual riguardo, al di là dello spettacolo di Lavia, devo ancora confessare che m'è del tutto ignoto perché uno debba mai spendere il prezzo di un biglietto di platea a teatro per assistere ad una lezione) in realtà prendono temporalmente solo una piccola parte del totale dello spettacolo. Essendo Amleto un’opera sterminata è dedicato quasi interamente alla sua recitazione, per quanto annotata. Lavia racconta Amleto è così da una parte una lezione piccola e insufficiente, dall’altra una messa in scena impossibile del lavoro, con Lavia che interpreta tutti i personaggi e tutti i dialoghi, a volte con buoni risultati (il suo lavoro sul personaggio di Amleto non è per niente male) a volte insufficienti (per ovvi motivi Lavia non dà vita a un’Ofelia particolarmente memorabile, ma nemmeno Orazio, Claudio e Gertrude brillano granché).

Conclusioni: uno spettacolo eccessivamente ambizioso, che lascerà un po’ delusi gli spettatori che conoscono bene il testo e un po’ frastornati quelli che non lo conosco per niente e che avranno qualche difficoltà a decifrarne i passaggi, vista la concomitante e unica voce del narratore/professore, di Amelio, di Ofelia, di Polonio, di Claudio. E che lascerà tutti stanchissimi, il pur bravo Lavia per primo, ma anche gli spettatori. Cosa che è detta dallo stesso Lavia: “Il teatro è faticoso perché è qui e ora”. Vero, ma c’è fatica che alla fine uno è felice di aver fatto e fatica alla fine della quale ci si chiede il perché senza trovare risposte cristalline. Personalmente, pur non essendo affatto un tradizionalista, preferisco il molto tradizionale modulo “incontro gratuito con gli attori/regista nel pomeriggio e spettacolo la sera” a questa cosa ibrida.

Non pessimo ma rinunciabile.


(pubblicato su Cinemavvenire)



lunedì, marzo 17, 2008
Introducing Mr Swaab
The tickets are bought and the hotels have been booked. It's official. I am coming to Italy! I will be in Rome March 27th, 28th, and 29th; Siena March 30th and 31st; Florence April 1st, 2nd, and 3rd; Venice April 4th; and traveling back to the US on April 5th. At some point during my stay in Rome I'll be doing a book signing. I still don't have details on that yet, but stay tuned as I should have them shortly!

So for anyone who would like to meet up while I'm in Italy, let me know and maybe we can arrange something. Either at the Rome signing or one of the other locations I'll be in.
Hope to see you in Italy!



domenica, marzo 16, 2008


sabato, marzo 15, 2008
Dieci anni e più di attesa
Siamo tutti più saggi e più belli di dieci anni fa, ma i Portishead continuano a piacerci. Da matti.




giovedì, marzo 13, 2008
Arrivo tardi ma arrivo: Last.fm




mercoledì, marzo 12, 2008
Indicazioni di voto
Se Berlusconi e Veltroni stessero affogando e voi aveste la possibilità di salvare solo uno di essi, andreste al ristorante o al cinema? (plagiato da Tom Weller)



sabato, marzo 08, 2008
Beppe Grillo fa cacare anche come comico
Io non ho molte capacità umoristiche né ho alcuna vellità di comico, ma se avessi voluto riscrivere un sonetto di Foscolo adattandolo banalmente alla contingente situazione politica italiana, essendo pedante avrei procurato di far sì che i versi fossero endecasillabi. Il rigore è fondamentale. Sennò 1) capaci tutti 2) come si fa a cantarlo sulle note de La guerra di Piero?

In morte del fratello Clemente

Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo
di partito in partito, me vedrai seduto
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de' tuoi gentil anni caduto.

La Madre or sol suo dì tardo traendo
parla di me col tuo cenere muto ,
ma io deluse a voi le palme tendo
e sol da lunge i tetti di Ceppaloni saluto.

Sento gli avversi numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta,
e prego anch'io nel tuo porto quiete.

Questo di tanti voti oggi ti resta!
Gentil Clemente, almen le ossa rendi
allora al petto degli italiani mesti.



venerdì, marzo 07, 2008
Una sottile metafora della condizione umana
Le fasi del lavoro del lutto individuate da Bowlby sono quattro: (1) torpore, la prima risposta ad un abbandono, caratterizzata da chiusura emozionale e negazione della realtà; (2) bramosia, ricerca, collera, durante la quale inizia la ricerca mentale disperata della persona perduta, col tentativo mentale di riaverla e di riunirsi a questa. Il pianto e la stessa collera sarebbero manifestazioni comportamentali volte ad attirare l'attenzione della persona perduta; (3) e (4) disorganizzazione, disperazione e riorganizzazione: la perdita della persona amata rappresenta la perdita di un punto di riferimento, di una base sicura. (fonte)


(video segnalato da Infamous)



mercoledì, marzo 05, 2008
Viva il teatro, dove tutto è finto e niente è falso: Ballo eccezionale degli incontri e delle esclusioni
In principio era Quad, di Samuel Beckett. Quattro figure incappucciate in diversi colori si muovevano su un quadrato disegnato sul palcoscenico secondo delle regole chiare ma imperscrutabili, in circuiti ripetitivi e inesorabili. Ballo eccezionale degli incontri e delle esclusioni della Stoa ripercorre questo schema, lo comprende, lo supera. Il "ballo" non è una danza, gli attori non sono danzatori, le coreografie non sono fisse ma dinamicamente generate secondo un insieme di regole a noi non note ma geometriche. Ripercorrendo forse la Storia dell’Uomo, o la storia di un uomo, il ballo inizia con la sorpresa di esserci, con lo stupore della presenza degli altri. A questo segue il costruirsi primigenio di una comunità confusa e magmatica, da cui si parte per un’evoluzione geometrica, razionale, ma nello stesso tempo libera e casuale di diagonali e cerchi che si chiudono, di fiori che sbocciano, di incontri e separazioni. A questa fase, che per l’appunto ricorda Beckett, seguono strutture marziali, a passo pesante, geometrie fisse e dure, contrapposizioni e fronti, che terminano quando metà dei presenti delega a un’altra metà il compito di muoversi, e osserva da un lato la costruzione di movimenti di danza quasi classici. Da qui si riparte a ritmo marziale, per ritrovarsi poi tutti in cerchio a compiere tribalmente gesti ordinati in quanto comuni, ma dionisiaci e vorticosi.

Un lavoro come questo, che è una creazione collettiva che ogni sera si rinnova immagino in forme non eguali, non è univocamente interpretabile, neanche da chi a questa creazione partecipa. Per lo scrivente l’interpretazione più affine alla sua sensibilità è quella di un ballo cosmogonico, che descrive la nascita, l’evoluzione e l’approdo di una comunità. La comunità parte dall’indistinto e un po’ spaventato caos iniziale per approdare alle forme libere di composizione e di relazione; per evolvere poi verso forme rigide che però mantengono sempre una certa indeterminazione e libertà di innovazione; per dividersi quindi in danzanti e osservanti, in attivi e passivi, a seguire schemi molto precisi; e per terminare in un gioioso ritrovamento neotribale dell’insieme. Questa probabilmente non sarà l’interpretazione che darete voi allo spettacolo, se di spettacolo si può parlare, quando lo vedrete.

Non si tratta di un vero e proprio spettacolo perché, sia programmaticamente sia nella realtà dei fatti, questo è un ballo e non una danza, e non è fatto per essere visto ma per essere praticato. Il gruppo di attori/danzatori non ha come referente il pubblico ma il gruppo stesso, e non c’è espressione ma piuttosto comunicazione interna. Certo dal di fuori si può apprezzare la bellezza evocativa di alcune figure ed esserne coinvolti, ma non è questo il proposito del lavoro, e si vede. Non si raggiunge il livello di esclusione del pubblico che altre forme di teatro hanno prodotto (penso soprattutto all’Action del Workcenter di Jerzy Grotowski eThomas Richards, in cui il pubblico è semplicemente non previsto, escluso fin dall’inizio, testimone alieno di un evento inafferrabile), ma comunque in sala appare inevitabile pensare che sarebbe molto più divertente, illuminante e creativo partecipare al lavoro che non assistervi. Anche perché, essendo un ballo, non prevede particolare bravura da parte dei danzatori, e sebbene sia richiesta disciplina e precisione non sarebbe inaccessibile a chiunque volesse. Si esce quindi dal teatro più con un rimpianto per non essersi iscritti alla Stoa (una costola della Societas Raffaello Sanzio) o ripromettendosi di farlo che con un vero piacere per quel che si è visto. Ma poiché qui ci si rivolge agli aspiranti spettatori e non agli aspiranti attori, si può dire che è un lavoro interessante, piacevole, veloce, con musiche (o meglio suoni) molto intriganti, come da tradizione della Societas, e contemporaneamente che non è spettacolare, che non è "bello", che non vi entusiasmerà per virtuosismo (cosa che a me personalmente interessa poco) né vi commuoverà o vi emozionerà in modo particolare per forza espressiva (cosa che a me personalmente interessa molto). Per completisti affezionati del gruppo cesenate più che per spettatori casuali.

Ballo eccezionale degli incontri e delle esclusioni
Con Sara Angelini, Nicole Arbelli, Stefano Bartolini, Demetrio Castellucci (che ha anche creato e curato il tessuto musicale), Teodora Castellucci, Giulia Merendi, Ignazio Palazzi, Paride Piccinini, Vincenzo Reale, Eugenio Resta, Giovanni Scardamaglia, Elena Turci, Marco Villari, Moreno Callegari (cura delle riprese), Claudia Castellucci (insegnante)
Una produzione della Socìetas Raffaello Sanzio


(pubblicato su Cinemavvenire)

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lunedì, marzo 03, 2008




domenica, marzo 02, 2008
Viva il teatro, dove tutto è finto e niente è falso: La Trilogia della Villeggiatura (regia di Toni Servillo)
Secondo la tradizione drammaturgica, si parla di “commedia” quando il finale è lieto e di tragedia quando è infausto. Se si può definire “commedia”, La trilogia della villeggiatura di Carlo Goldoni è una commedia amarissima, che racconta senza illusioni il crollo di un mondo sotto il peso degli agi, la vittoria del buon nome e della reputazione sulla vita, il trionfo del cinismo e della mediocrità contro la volontà, l’intelligenza e il sentimento.
Si tratta in realtà di un trittico di opere parzialmente indipendenti e narrativamente“chiuse” che però trovano la loro completezza in quest’edizione diretta da Toni Servillo. A prezzo di non troppi tagli riesce a mettere in scena tutte e tre lavori in una sola sera, senza arrivare molto oltre le tre ore di durata - intervallo incluso - e senza affaticare troppo gli spettatori. Le tre opere sono Le smanie della villeggiatura, in cui si vede come la moda e la necessità di “ben apparire” obblighino gli uomini ad azioni poco sagge, e si delineano i caratteri iniziali dei molti personaggi che vivono in questo maestoso lavoro. Ne Le avventure della villeggiatura si può vedere come, finalmente in villeggiatura e senza altro da fare se non oziare, chiacchierare, mangiare e giocare a carte, gli animi emergano e lascino spazio alle pulsioni più tenere o orrende: amore, tradimento, crudeltà, stupidità, pazzia. Ma è ne Il ritorno dalla villeggiatura che l’ordine torna funereo a regnare, che tutto si “mette a posto” nel modo più meschino e terribile, che la società torna a dettar legge e a rovinare vite.
La protagonista e il personaggio più complesso della trilogia è la giovane Giacinta, che attraverso il dramma compie un vero percorso iniziatico negativo, dalla gioventù sventata, un po’ cinica, scaltra intelligente e manipolatrice, all’approdo di una maturità rassegnata al meno peggio, alla sconfitta, al dominio malinconico dell’inautentico, del convenzionale e del conveniente sulla propria vita.
La critica di Goldoni è diretta verso la borghesia sua contemporanea, ma non è difficile tradurla in una critica diretta al modo di vita borghese contemporaneo, ormai generalizzato e pervasivo.

La messa in scena di Servillo si caratterizza d’impatto per un ritmo vertiginoso di pronuncia delle battute, probabilmente legato al compito di mettere in scena quasi tutto il testo senza arrivare alle quattro ore: dapprincipio lo spettatore rimane un po’ turbato e confuso dalla mitragliatrice attoriale in mano a tutti i personaggi, ma dopo poco si abitua e anzi grazie alla presenza di un registro standard di allegro prestissimo maggior risonanza e forza hanno i momenti lenti, di riflessione, le pause, le malinconie. Per quanto si sia trattato probabilmente di una scelta obbligata, non la si può giudicare negativamente e anzi alla fine contribuisce non poco alla riuscita del lavoro. La cura di Servillo nel suo adattamento è quella di non privilegiare in modo eccessivo la vicenda principale ma di mantenere vivi e presenti le innumerevoli linee narrative secondarie, che rendono l’opera un affresco a molte voci, con delle figure in primo piano e altre più defilate ma tutte significative e importanti.
Dal punto di vista scenico la scelta è invece quella di una scenografia non minimale ma nemmeno invadente, di regia e di luci di grande discrezione, al fine di dare il maggior spazio possibile a quello che evidentemente per Servillo è importante, ovvero il testo e il lavoro degli attori.
Entrambi, testo e attori, ne escono magnificamente: la compagnia, composta da vecchie volpi del palcoscenico (tra cui un eccezionale Paolo Graziosi e lo stesso Toni Servillo nel piccolo ruolo di un orrendo e divertentissimo personaggio come Fernando), da attori di esperienza (e a noi è piaciuta soprattutto la prova in una parte senza molte battute ma intensissima in forza della presenza scenica di Tommaso Ragno) e da giovani promesse (segnaliamo per potenza, vivacità, variazioni di registro e convinzione la protagonista Anna Della Rosa) è una macchina a orologeria con una perfetta corrispondenza di tempi, di rispondenze, di ritmi, un’orchestra senza strumenti solisti dove, più che la bravura dei singoli, è il perfetto amalgama che spicca agli occhi e strappa gli applausi.

Trilogia della villeggiatura
di Carlo Goldoni
regia Toni Servillo
scene Carlo Sala, costumi Ortensia De Francesco
luci Pasquale Mari, suono Daghi Rondanini, aiuto regia Costanza Boccardi
con (in ordine di apparizione) Andrea Renzi, Francesco Paglino, Rocco Giordano, Eva Cambiale, Salvatore Cantalupo, Toni Servillo, Tommaso Ragno, Paolo Graziosi, Anna Della Rosa, Chiara Baffi, Gigio Morra, Betti Pedrazzi, Giulia Pica, Marco D'Amore, Mariella Lo Sardo
Una coproduzione Piccolo Teatro di Milano, Teatri Uniti

Prossime date:
Pistoia, Teatro Manzoni: 29 febbraio/2 marzo 2008
Casale Monferrato, Teatro Municipale: 4 e 5 marzo 2008
Pavia, Teatro Fraschini: 7/9 marzo 2008
Piacenza, Teatro Municipale: 10/11 marzo 2008
Ravenna, Teatro Alighieri: 13/16 marzo 2008
Civitavecchia, Teatro Comunale Traiano: 18 e 19 marzo 2008
Roma, Teatro Valle: 26 marzo/13 aprile 2008
Saragozza, Expo Saragozza 2008: luglio 2008




(articolo pubblicato su Cinemavvenire)