Il weblog di Gokachu


venerdì, marzo 21, 2008
Viva il teatro, dove tutto è finto e niente è falso: Lavia racconta Amleto
Un. Monologo. Di. Tre. Ore.
Se dopo aver guardato il voto e aver letto la prima riga di questa recensione state continuando a leggere, significa che avete una particolare affezione per Amleto, oppure per Lavia, o ancora per i monologhi di tre ore. Io rientro nella prima categoria. Se rientrate nella terza permettetemi di invitarvi a rivolgervi a un medico specialista.

Cos’è Lavia racconta Amleto? Si propone di essere una lezione mescolata a elementi di recitazione. Lavia recita tutti i personaggi dell’Amleto intercalando le varie scene con note a piè di pagina e con notazioni filosofiche. E’ un “genere” che si è diffuso molto nei teatri italiani, questo della “X racconta Y” o “Z legge W”, probabilmente per colpa o per merito dell’enorme successo che il pubblico ha attribuito al Dante di Benigni. Mi immagino che effetto possa aver fatto quel successo su attori più bravi e più colti del Robertone nazionale: ma se lo fa lui lo posso fare anch’io. L’ho pensato persino io che in scena non sono sicuramente più bravo di Benigni, figuriamoci cosa deve essere passato nelle teste di Carlo Monni, Paola Pitagora e Gabriele Lavia. Ma veniamo a noi. Lo spettacolo consiste per l’appunto in una scelta di scene dall’Amleto, non completa ma piuttosto nutrita, recitate e spiegate da Lavia, che ci introduce nei misteri della scenografia metafisica del teatro elisabettiano, nel concetto aristotelico di qui e ora, nel paesaggio londinese d’inizio seicento cui Shakespeare fa riferimento. Si scoprono alcune cose che già conoscevamo ma anche altre di cui non avevamo idea: per esempio pare che dicendo “va in convento” Amleto intenda “prostituisciti” e che dicendo “Ninfa, nelle tue orazioni siano ricordati tutti i miei peccati” intenda “Puttana, quando ti masturbi, pensa a me”. E non che lo intenda in modo criptico ma che siano stati modi di dire alla portata di qualsiasi spettatore del Globe Theater.

Non abbiamo motivi per dubitare di questa e altre rivelazioni, ma siccome siamo andati a teatro per vedere, nel bene e nel male, uno spettacolo, veniamo al giudizio di questo in quanto tale.

Lo spettacolo è povero. Da un lato per lo spettatore (e ancor di più per l’attore) è difficile sostenere tre ore di soliloquio; dall’altro le note a piè di margine, che potrebbero far pensare a una “lezione” (al qual riguardo, al di là dello spettacolo di Lavia, devo ancora confessare che m'è del tutto ignoto perché uno debba mai spendere il prezzo di un biglietto di platea a teatro per assistere ad una lezione) in realtà prendono temporalmente solo una piccola parte del totale dello spettacolo. Essendo Amleto un’opera sterminata è dedicato quasi interamente alla sua recitazione, per quanto annotata. Lavia racconta Amleto è così da una parte una lezione piccola e insufficiente, dall’altra una messa in scena impossibile del lavoro, con Lavia che interpreta tutti i personaggi e tutti i dialoghi, a volte con buoni risultati (il suo lavoro sul personaggio di Amleto non è per niente male) a volte insufficienti (per ovvi motivi Lavia non dà vita a un’Ofelia particolarmente memorabile, ma nemmeno Orazio, Claudio e Gertrude brillano granché).

Conclusioni: uno spettacolo eccessivamente ambizioso, che lascerà un po’ delusi gli spettatori che conoscono bene il testo e un po’ frastornati quelli che non lo conosco per niente e che avranno qualche difficoltà a decifrarne i passaggi, vista la concomitante e unica voce del narratore/professore, di Amelio, di Ofelia, di Polonio, di Claudio. E che lascerà tutti stanchissimi, il pur bravo Lavia per primo, ma anche gli spettatori. Cosa che è detta dallo stesso Lavia: “Il teatro è faticoso perché è qui e ora”. Vero, ma c’è fatica che alla fine uno è felice di aver fatto e fatica alla fine della quale ci si chiede il perché senza trovare risposte cristalline. Personalmente, pur non essendo affatto un tradizionalista, preferisco il molto tradizionale modulo “incontro gratuito con gli attori/regista nel pomeriggio e spettacolo la sera” a questa cosa ibrida.

Non pessimo ma rinunciabile.


(pubblicato su Cinemavvenire)