Il weblog di Gokachu


mercoledì, novembre 30, 2005
America oggi: Serenity
Autorevoli personalità definiscono il trash come emulazione fallita. E sicuramente trash, al di là delle recensioni molto lusinghiere che lo accompagnano, è questo Serenity, sordido miscuglio di mercenari duri ma dal cuore d'oro come Han Solo, di ragazze esili e micidiali come Alita, di furiosi combattimenti spaziali contro bestie-uomo come Fantasmi su Marte nonché di pseudodrammi etici davvero risibili, di storiazze d'amore ridicole e di colpi di scena telefonati un quarto d'ora prima.

Stabilito che di trash si tratta, vi dirò anche che non è nemmeno quel tipo di trash godibile e divertente, di cui si ride. E' opaco e spento come una pallottola sparata durante la guerra di secessione.

Unici motivi di un certo diletto, le pur non ben coreografate scene in cui la piccola River stende decine di uomini muscolosi e il volto (piuttosto inespressivo, per la verità) di Summer Glau.




Sindrome cinese: Il gusto dell'anguria
Il cinema di poesia esiste ancora? Sì, finché Tsai continuerà a lavorare.

In questo suo ultimo lavoro si riavvicina al tema e allo stile di The Hole, il suo film più accessibile finora, il più ottimistico, e anche probabilmente il migliore; a Taipei un cataclisma metereologico (là la continua pioggia, qui la siccità) scuote le solitudini degli abitanti, ormai simili ad insetti (là scarafaggi, qui formiche), provocando l'avvicinamento di due di loro al di là del muro, metaforico e reale, che li divide, fino a raggiungere la massima vicinanza possibile. Che non è poi molta. La narrazione è contrappuntata da (quattro là, cinque qua) stravaganti e bellissimi intermezzi musicali in cui i sentimenti dei personaggi vengono messi in musica in modo decisamente grottesco e che alleggeriscono l'impatto del film, che vive altrimenti di lunghe inquadrature, dialoghi scarni e una storia esile.


Ma se il film in fondo dice la stessa cosa del precedente, tutto sommato senza eguagliarlo, la dice in modo sublime, ricco di inventiva, geniale, duramente poetico; la serie di inquadrature finali sono probabilmente quanto di più rarefatto, distillato, simbolico, romantico e contemporaneamente greve, materico, esplicito, pornografico ci sia stato dato da vedere negli ultimi anni. Poesia che lacera e non conforta; grido di poeta e non bella frase da assaporare. Necessario.


Nota: alla "prima visione" l'impressione non era stata proprio la stessa.



martedì, novembre 29, 2005
Per fiorentini e dintorni
Se volete vedere qualche documentario, dal 2 all'8 dicembre a Firenze c'è il Festival dei Popoli. Credo che mancherò.





domenica, novembre 27, 2005
Ascolti in casa Gokachu
Decisamente sopravvalutati, ma un pugno di brani sono davvero buoni.



venerdì, novembre 25, 2005
Il film che pare interessante della settimana
Chi mi conosce almeno un po' saprà che è stato molto facile scegliere il film di questa settimana. Sì, uscivano diversi film degni di nota di cui lascio una labile traccia a piè di pagina: L'ignoto spazio profondo, film di fantaqualcosa diretto da Werner Herzog è stato l'unico per cui ho fatto un pensierino per una frazione di secondo, ma anche Serenity sembra essere assai promettente, essendo finito nei migliori 300 film di tutti i tempi di imdb e essendosi guadagnato un 80% di recensioni positive su rottentomatoes. Poi ci sono i film che difficilmente avrebbero potuto vincere anche in settimane normali ma che paiono meritevoli, come, entrambi a dispetto del titolo italiano, Zucker! ...come diventare ebreo in 7 giorni e Nickname: Enigmista. Infine esce un superblockbuster che non avete bisogno di leggere queste pagine per conoscere, e il cui nome non verrà neanche pronunciato.

Ma bando alle ciance e ai preamboli messi lì apposta per far contenti tutti, e veniamo a noi. Il film che pare interessante della settimana è - anche qui malgrado il titolo italiano, ché quello originale vuol dire "Una nuvola al bordo del cielo" e quello internazionale "La nuvola discola" - Il gusto dell'anguria; non abbiamo bisogno di andare a cercare recensioni e giudizi altrui perché siamo sorretti da un fortissimo pregiudizio. Positivo. Noi qui si ama Tsai Ming-liang, si è pianto con Vive l'amour e cantato con The Hole, e il nostro non ci ha mai tradito. Anche i film "minori" ci sono piaciuti, e molto. Ma soprattutto, si disperava che potesse essere distribuito, visto che il precedente (e molto bello) Goodbye Dragon Inn non ha trovato la via delle sale italiane. Insomma un (in)atteso ritorno. Saremo in prima fila. E voi?


Le immagini tratte da queste film son troppo belle per non segnalarne qualcuna: 1, 2, 3, 4



Recensioni di una frase
Mary di Abel Ferrara è stato uno spreco di tempo (miei) e di soldi (miei), ma non sarà un ulteriore spreco di spazio in questo blog.



mercoledì, novembre 23, 2005
Dove si anticipa la polemica che infurierà altrove e si provoca pesantemente
Premetto che, ovviamente, non ci si può fidare troppo di un dizionario di cinema che attribuisce due stelline e mezzo ad Akira e tre a Sátántángo. Che odia Von Trier al punto di dare due stelline a Dogville.

Tuttavia, visto che alcuni (molti) sicuramente si lamenteranno della valutazione data ad un film di un giovane regista coreano di cognome Park (persino io gli avrei dato di più), provoco dicendo che se tre stelline e mezzo sono il voto di Samaria e tre quello di Bad Guy, Oldboy è stato perfino sopravvalutato.



lunedì, novembre 21, 2005
Giovane (?) artista (?) Gokachu

Flog, concerto delle CocoRosie, 19/11/05
More takes: 1, 2, 3



domenica, novembre 20, 2005


venerdì, novembre 18, 2005
Il film che pare interessante della settimana
Sezione documentari: esce La marcia dei pinguini.
Probabilmente il documentario appena citato è anche il film più bello della settimana. Le critiche parlano bene anche di Lord of war e Il vento del perdono. Va pure detto che Wolf Creek è verosimilmente un horror più che passabile.

Tante citazioni perché il film prescelto è probabilmente inferiore a questi quattro, nonostante il Gran Premio vinto a Venezia; ma paghiamo dazio di militanza. Se esce un film di Abel Ferrara non possiamo rimanere indifferenti, è un piccolo grande evento che attendevamo da molto, troppo tempo; il nostro interesse è tutto rivolto lì. Essendo uscito a Venezia, ci sono già numerose recensioni italiane al film, sia di giornalisti che di blogger. Tutte poco affidabili in quanto festivaliere. Signori, Mary.





giovedì, novembre 17, 2005
Consigli per gli acquisti
E' in edicola per Repubblica un altro volume a fumetti firmato da Frank Miller. Incentrato sulla figura di Devil, il volume raccoglie la celebre miniserie Man without fear prodotta in collaborazione con John Romita Jr. oltre ad un non ben identificato ma benvenuto Il ritorno di Elektra. 'nuff said.




mercoledì, novembre 16, 2005
America Oggi: Crash
E' davvero spudorato il quasi esordio alla regia dello sceneggiatore Paul Haggis.

In primo luogo spudorato nel suo rifarsi in modo terribilmente esplicito ad un modello altissimo, il Magnolia di Paul Thomas Anderson, che a sua volta era debitore di un altro grandissimo film, America Oggi di Robert Altman. Il debito non riguarda solo la struttura corale e fratta, unita solo dal disastro e dall'emergenza, il che sarebbe davvero irrilevante (come lo è per Magnolia nei confronti di America Oggi); il modello è visibile nello stile, a volte in modo addirittura imbarazzante, come quando i vari personaggi vengono inquadrati con lenti carrelli laterali mentre si ascolta una canzone, esattamente come accadeva in un momento memorabile di Magnolia. Purtroppo Haggis non ha la tecnica sopraffina o il gusto compositivo di Anderson e da questo punto di vista cade molto, molto al di qua del modello.

Secondo difetto capitale del film è quello di lasciar entrare nella sala l'odore della cucina, della produzione del lavoro; chi si indigna per le manipolazioni emotive di Von Trier qui avrà molto di più per cui lamentarsi. Il roller coaster spirituale dello spettatore è guidatissimo e regolamentatissimo, e fin qui tutto bene, almeno per non ritiene la manipolazione essere reato; solo che il regolamento e la guida sono evidenti, sono scritti dappertutto, il percorso emotivo che seguiamo è così artefatto da quasi non farci cadere nel trabocchetto, tanto è segnalato. Il gioco ad incastri è troppo preciso, troppo matematico, macchinoso; lo sviluppo drammaturgico è troppo pulito, cechoviano nel suo non mettere in scena nulla che non sia funzionale alla storia; il percorso dei personaggi è troppo pensato e programmatico. La sceneggiatura, che certo è bella e racconta delle cose importanti sull'America ma anche sull'Europa di oggi, ha il sopravvento sul film e quasi lo soffoca.

Dopo questo lungo severo preambolo arriviamo a dire che, malgrado i grandi difetti, il film ci è piaciuto molto. La sua totale mancanza di pudore e la sua pretenziosa volontà di colpire alto gli permettono di raggiungere un calor bianco emotivo davvero notevole, stordente, fortissimo; purché ci si lasci andare "nonostante tutto", nonostante la malcelata volontà dell'autore di raggiungere proprio quell'effetto. Commozione, lacrime, dolore, sangue; ironia, sconfitta, morte, umiliazione; speranza, vergogna, dignità, riscatto. In abbondanza, senza risparmio, senza ritegno. Così lancinanti e ben supportati dagli attori da diventare la nostra sconfitta, la nostra umiliazione, il nostro riscatto. Non è poco, di questi tempi.

Da non perdere, non per tutti.




sabato, novembre 12, 2005


Recensioni svogliate: Corpse Bride
Dopo tanto Burton sottotono, questo film è una boccata d'ossigeno. Ma non una boccata piena, soddisfacente; pur essendo un bel film conto diversi difetti che alla fine me lo fanno ritenere non eccezionale.
Elencherò solo quelli, ché i pregi li potete trovare altrove: la comicità grottesca è un po' caccolosa, le canzoni di Elfman non sono al livello di quelle di Nightmare before Christmas, il goffo e simpatico protagonista è troppo goffo e simpatico per starci veramente simpatico, la sua tenera fidanzatina è un tipo insignificante, i genitori sono eccessivamente caricaturali. Persino il titolo fa rimpangere quello provvisorio, A grave misunderstanding (ridotto a strillone), che faceva tanto Oscar Wilde. E un po' di Wilde in più in sceneggiatura ci sarebbe stato bene, in quell'ambientazione vittoriana. Un po' di humor sottile, di wittiness.

Però che bella lei, Emily, la sposa cadavere: la sua apparizione è una folgorazione, la sua uscita di scena una meraviglia, e tra l'una e l'altra è l'unico personaggio davvero vivo. Salva, decisamente, il film.




venerdì, novembre 11, 2005
Il film che pare interessante della settimana
Oggi escono film di registi ilustri, ma li snobberemo spietatamente a favore di un opera seconda. L'opera seconda è peraltro di un regista di cui non abbiamo affatto visto l'opera prima, tal Paul Haggis. Il nome però non ci è del tutto ignoto, visto che si tratta dello sceneggiatore e del co-produttore di Million Dollar Baby. Il film si chiama Crash.

Di questo film parla molto bene il New Yorker, e in generale la stampa americana; a quella francese in maggioranza è piaciuto; su imdb si trova un qualche centinaio di recensioni entusiaste; sempre su imdb risulta posizionato addirittura come 57esimo più bel film di tutti i tempi. Un gradino sopra M di Fritz Lang e nove sopra Tempi moderni, tanto per intenderci.

Non speriamo tanto. Ci basta valga ampiamente il costo del biglietto. E che Thandie Newton stia sullo schermo per più di qualche minuto.




giovedì, novembre 10, 2005


mercoledì, novembre 09, 2005
Alia: Vai e vivrai
Mette tanta carne al fuoco, Mihaileanu in questo film: l'idea è quella di raccontare la storia di un giovane in tempi convulsi e storicamente determinati, quasi come ne La certosa di Parma. La complessità della vicenda storica in cui la storia si muove è notevole: attraverso il giovane etiope falsamente ebreo Schlomo si vuole raccontare l'epopea tragica dei Falasha, gli ebrei etiopi immigrati in Israele e ancora non del tutto accettati all'interno della società israeliana; il dramma della guerra in Israele; il lacerante scontro tra l'amore per i figli e l'amore per il proprio paese; il razzismo; una storia d'amore coniugale; una storia d'amore filiale; una storia di innamoramento e amore.

Non ci riesce, Mihaileanu in questo film, a cuocere tutta la carne che mette al fuoco; nonostante la lunga durata molti aspetti risultano appena toccati, ci appaiono di sfuggita nella loro problematicità; alcuni momenti narrativi risultano affrettati e poco convincenti (il periodo parigino, per esempio). Stilisticamente poi in alcuni punti l'emozione viene decisamente forzata, per esempio con l'utilizzo di ralenti, o con controcampi su chi guarda la scena che noi guardiamo e si commuove (come noi ci commuoviamo).

Ma non si può non perdonarlo.

Perché al di là del dramma storico alcuni momenti di Vai e vivrai sono davvero toccanti, perché al didascalismo che in alcuni punti prende il predominio (all'inizio, per esempio), contrappone lo straordinario candore del racconto di un giovane a cui è davvero difficile non partecipare; perché i suoi personaggi, anche se rappresentano emblematicamente una posizione nel dramma degli Falasha, risultano vivi e pulsanti. Perché nonostante qualche colpo basso prevalgono il pudore e la compostezza narrativa, pudore e compostezza che rendono più duri i colpi bassi. Il merito è soprattutto degli attori, tutti stupendi; a noi è piaciuta soprattutto la madre adottiva, Yaël Abecassis. Da vedere, ottimo.




martedì, novembre 08, 2005
Mi appello al principio di autorità
Visto che tra i cinebloggers sono l'unico insieme a Murda (in una insolita ma non unica alleanza) a pensare che L'arco non sia proprio un gran film, mi appello al Bocchi che oggi su FilmTv scrive:

Kim stavolta tende troppo le sue corde, e infastidisce. Il panismo conclusivo, durante la celebrazione e relativa transustanziazione pagana, è decisamente pacchiano, quando L'isola aveva già detto tutto, e con ben altra efficacia. E poi, più procede, più L'arco si attorciglia su se stesso, sfiorando il ridicolo e impantanandosi in quella retorica simbolista che in Kim è sempre stata strumento per una consapevolezza interiore, e non trousse per una vetrina turistica.

Condivido praticamente tutto, anche il difetto di ficcare troppe virgole nelle frasi.



Visto nelle ultime settimane - QUIZ
It's the time of the season
When the love runs high
In this time, give it to me easy
And let me try
With pleasured hands

To take you and the sun to
Promised lands
To show you every one
It's the time of the season for loving

What's your name?
(What's your name?)
Who's your daddy?
(Who's your daddy? He rich?)
Is he rich like me?

Has he taken
(Has he taken)
Any time
(Any time to show)
To show you what you need to live?
Tell it to me slowly
Tell you what?
I really want to know
It's the time of the season for loving

What's your name?
(What's your name?)
Who's your daddy?
(Who's your daddy? He rich?)
Is he rich like me?

Has he taken
(Has he taken)
Any time
(Any time to show)
To show you what you need to live?
Tell it to me slowly
Tell you what?
I really want to know
It's the time of the season for loving



domenica, novembre 06, 2005
Giovane (?) artista (?) Gokachu

Flog, concerto degli Ozric Tentacles, 26/10/05
More takes: 1, 2, 3, 4



sabato, novembre 05, 2005
Il 38° parallelo: L'arco
Il nuovo film di Kim è sicuramente un film interlocutorio nella sua carriera; girato in poco tempo, ha tutti gli elementi del film minore. L'emozione è raffreddata, il numero dei protagonisti è più contenuto del solito, non ci sono vicende secondarie ma solo quella principale. E fin qui. Ma la pellicola presenta dei limiti più profondi: rischia, in certi punti, di diventare un film "orientale" in senso classico, ovvero paesaggistico, ricco di significati profondi o pseudotali, abbondante di metafore un po' kitsch, e alla fine voglioso di dire qualcosa sul senso della Vita. Roba tipo Maghi e viaggiatori, per intenderci: il fallimento dell'applicazione del buddismo all'arte cinematografica.

Parte in modo ottimo, disegnando con poche, vivide pennellate l'ennesimo mondo secluso ed emarginato della sua cinematografia; diciamo che tutto va a meraviglia fin quando cominciano ad apparire alcune crepe nel solido affresco: un controluce decisamente poco elegante (!), tronfio della sua banale bellezza; l'insistito utilizzo a fini lirici di "musica falsamente dietetica", come si scrive altrove; il disegno maldestro di tutti i personaggi diversi dai due protagonisti. Sul finale i difetti esplodono e ingoiano il film senza scampo. Mai si era visto in Kim, un artista in grado di sussurrare metafore lancinanti con garbo infinito, tanto grido e schiamazzo nel simbolismo. Tanta volgarità, arrivo a dire.

Che resta. Alcune vivide immagini, di bellezza non banale (ce ne sono, e molte, anche sul finale); i sorrisi di Han Yeo-reum; i primi notevoli minuti. Se però Ferro 3 ci aveva fatto temere in un deragliamento del nostro dalla sua poetica lacerata verso un'astrazione raffinata, eterea e decisamente meno grande e più comune, incoraggiato in questo da pubblico e critica (da noi meno) ma anche dall'indubbia compattezza del risultato, L'arco da questo punto di vista ci fa ben sperare: ci appare evidente che il nostro è arrivato all'argine, ha raggiunto il limite di questo suo spostamento. Ora può riarrangiare la rotta.

Alternativamente*:

Film che quant'altri mai ha scatenato nei cinebloggers entusiasmi altamente immotivati, per non dire sonore cantonate, è un film ruffiano, che non perturba, non sedimenta, irrita... la poetica di Kim, quella vera che noi qui si amava, sembra essersi irrimediabilmente perduta dietro una svolazzante fuffa festivaliera che niente aggiunge a quanto già detto (e in ben altro modo), e anzi getta una luce dubbia sulla sincerità di certe sue opere precedenti. Non dico che non ci sia più da fidarsi di lui; confidiamo in un ritorno alla forma e all'impegno, sperando che prenda atto dello scivolone. Chi si avvicinasse oggi all'opera di Kim, non cominci da qui. Piuttosto, da qui. (courtesy of Ohdaesu)


*DISCLAIMER: il pezzo è stato scritto da Ohdaesu prima che io scrivessi il mio; non rappresenta le sue opinioni ma quelle che pensava fossero le mie. Il mio pezzo è stato scritto indipendentemente da quello (anche se ovviamente lo avevo già letto); fatti i dovuti distinguo le somiglianze sono però inquietanti.



Typos creativi
Leggevo la recensione de L'arco su cinemacoreano.it quando mi sono imbattuto in un refuso notevole: "la musica falsamente dietetica toglie invece di aggiungere".



venerdì, novembre 04, 2005
Recensioni svogliate
Ormai l'assenza di recensioni cinematografiche "serie" da questo blog perdura da un mese e mezzo. Qualcosa vorrà dire.

Dear Wendy è un interessante ibrido tra il western alla Hawks e il romanzo di formazione alla Weir, per fortuna senza grilli parlanti o Robin Williams nei paraggi. L'attenzione allo sviluppo psicologico dei personaggi, al di là della dinamica metafisica della trama, lo rende più un film di Vintenberg che di Von Trier; ciò non toglie che sia cinema epico ugualmente, una parabola sull'umanità (meno pessimistica e molto più romantica di quelle di Von Trier), che alla fine lascia riflessivi e senza soluzioni prefabbricate. Dal punto registico vanno rilevate alcune trovate alla Dogville (o alla Magnolia) e deprecata una voce fuori campo insistente e onnipresente per quasi tre quarti di film. Non imperdibile, ma degno di una visita.

Manderlay è in tutti i sensi il seguito di Dogville , e rispetto a questo soffre di alcune mancanze. Ci manca la novità, la sorpresa della realizzazione scenica, che qui è poi meno estremizzata, con più muri sul set; ci manca Nicole Kidman; ci manca la forza della amara parabola del primo film.
E' un film più debole rispetto al capostipite, ma la cosa è quasi naturale. Von Trier ha inventato un modo di introdurre il teatro brechtiano al cinema davvero geniale, che conserva la recitazione naturalistica degli attori ma ottiene ugualmente straniamento e epicità; se nel primo film si appoggiava decisamente a Brecht mettendo in scena una variazione de L'anima buona del Sezuan qui naviga più liberamente ma con meno grandezza propositiva e con meno possibilità di sorprenderci. Niente di male; per me potrebbe portare l'esperimento ben al di là della trilogia americana e produrre decine di film con questo modulo. Tutto sommato è come andare a teatro; la disillusa visione dell'umanità che traspare dalle storie mi è poi particolarmente congeniale. L'unico appunto che faccio è simile a quello del primo film; i titoli di coda rendono la vicenda prettamente "americana"; se non ci fossero, se ci si mantenesse in un ambito più universale, preferirei. Questi non sono gli americani, questa è l'umanità.

Niente da nascondere sembra produrre nei recensori una insana necessità di usare termini come "universo diegetico" o "pensiero lockiano", e questo è male. Però è indubbio che è un film di cui è molto difficile parlare, perché ci pone di fronte non ad un enigma ma a un mistero. Freddo e algido ma non privo di anima come tanto cinema teorico, colloca lo spettatore nello stesso luogo dei personaggi, di fronte ad un mondo illuminato parzialmente da lampi di luce e che ci resta indecifrabile, incomprensibile. Rispetto ad altri lavori di Haneke, a una certa distanza dalla visione posso dire che ferisce meno in profondità, sedimenta di meno, è meno tossico. Manifesta inoltre una forte caratterizzazione politica, una decisa "francesitudine" che rende meno coinvolgente il tema, forse, per un italiano.
Però certamente da vedere.

The Descent è un horror che sta generando entusiasmi eccessivi, ma non si può negare che abbia molte frecce al suo arco. Claustrofobico, secco, non privo di ironia, girato con abilità, sceneggiato con bravura, recitato con convizione. Onesto.






Il film che pare interessante della settimana
Da questa volta viene introdotta, all'interno di questa rubrica, la categoria speciale "documentari". Lo faccio perché difficilmente trovo un documentario più interessante di un film di fiction (è sicuramente un mio limite), quindi sarebbe per loro difficile trovare spazio e segnalazione qui. E non sarebbe giusto.
Vi segnalo quindi per la categoria "documentari" l'uscita di Born into Brothels, che si guadagna un 7.9 su imdb e un 96% su rotten tomatoes. Insomma una capatina ce la si potrebbe pure fare.

Il film "che pare interessante" della settimana è invece Vai e vivrai, che paradossalmente non teme confronti neanche con quel blasonatissimo documentario: 8.2 su imdb, vincitore del premio del pubblico, del premio ecumenico della giuria e del premio "Label Europa Cinemas" all'ultimo festival di Berlino, recitato in aramaico, ebraico e francese, e apprezzato da molti critici d'oltralpe.

Sempre che esca da qualche parte.




mercoledì, novembre 02, 2005


Un pomeriggio esclamativo al Joe D'Amato Horror Festival
I vampiri: Zzz.
L'alba dei morti viventi dementi: Hehe.
Bubba Ho-Tep: Wow.
Nekromantik*: Ehhh.


*L'avevo già visto in VHS rovinatissima.