Il weblog di Gokachu


sabato, novembre 05, 2005
Il 38° parallelo: L'arco
Il nuovo film di Kim è sicuramente un film interlocutorio nella sua carriera; girato in poco tempo, ha tutti gli elementi del film minore. L'emozione è raffreddata, il numero dei protagonisti è più contenuto del solito, non ci sono vicende secondarie ma solo quella principale. E fin qui. Ma la pellicola presenta dei limiti più profondi: rischia, in certi punti, di diventare un film "orientale" in senso classico, ovvero paesaggistico, ricco di significati profondi o pseudotali, abbondante di metafore un po' kitsch, e alla fine voglioso di dire qualcosa sul senso della Vita. Roba tipo Maghi e viaggiatori, per intenderci: il fallimento dell'applicazione del buddismo all'arte cinematografica.

Parte in modo ottimo, disegnando con poche, vivide pennellate l'ennesimo mondo secluso ed emarginato della sua cinematografia; diciamo che tutto va a meraviglia fin quando cominciano ad apparire alcune crepe nel solido affresco: un controluce decisamente poco elegante (!), tronfio della sua banale bellezza; l'insistito utilizzo a fini lirici di "musica falsamente dietetica", come si scrive altrove; il disegno maldestro di tutti i personaggi diversi dai due protagonisti. Sul finale i difetti esplodono e ingoiano il film senza scampo. Mai si era visto in Kim, un artista in grado di sussurrare metafore lancinanti con garbo infinito, tanto grido e schiamazzo nel simbolismo. Tanta volgarità, arrivo a dire.

Che resta. Alcune vivide immagini, di bellezza non banale (ce ne sono, e molte, anche sul finale); i sorrisi di Han Yeo-reum; i primi notevoli minuti. Se però Ferro 3 ci aveva fatto temere in un deragliamento del nostro dalla sua poetica lacerata verso un'astrazione raffinata, eterea e decisamente meno grande e più comune, incoraggiato in questo da pubblico e critica (da noi meno) ma anche dall'indubbia compattezza del risultato, L'arco da questo punto di vista ci fa ben sperare: ci appare evidente che il nostro è arrivato all'argine, ha raggiunto il limite di questo suo spostamento. Ora può riarrangiare la rotta.

Alternativamente*:

Film che quant'altri mai ha scatenato nei cinebloggers entusiasmi altamente immotivati, per non dire sonore cantonate, è un film ruffiano, che non perturba, non sedimenta, irrita... la poetica di Kim, quella vera che noi qui si amava, sembra essersi irrimediabilmente perduta dietro una svolazzante fuffa festivaliera che niente aggiunge a quanto già detto (e in ben altro modo), e anzi getta una luce dubbia sulla sincerità di certe sue opere precedenti. Non dico che non ci sia più da fidarsi di lui; confidiamo in un ritorno alla forma e all'impegno, sperando che prenda atto dello scivolone. Chi si avvicinasse oggi all'opera di Kim, non cominci da qui. Piuttosto, da qui. (courtesy of Ohdaesu)


*DISCLAIMER: il pezzo è stato scritto da Ohdaesu prima che io scrivessi il mio; non rappresenta le sue opinioni ma quelle che pensava fossero le mie. Il mio pezzo è stato scritto indipendentemente da quello (anche se ovviamente lo avevo già letto); fatti i dovuti distinguo le somiglianze sono però inquietanti.