Il weblog di Gokachu


venerdì, novembre 04, 2005
Recensioni svogliate
Ormai l'assenza di recensioni cinematografiche "serie" da questo blog perdura da un mese e mezzo. Qualcosa vorrà dire.

Dear Wendy è un interessante ibrido tra il western alla Hawks e il romanzo di formazione alla Weir, per fortuna senza grilli parlanti o Robin Williams nei paraggi. L'attenzione allo sviluppo psicologico dei personaggi, al di là della dinamica metafisica della trama, lo rende più un film di Vintenberg che di Von Trier; ciò non toglie che sia cinema epico ugualmente, una parabola sull'umanità (meno pessimistica e molto più romantica di quelle di Von Trier), che alla fine lascia riflessivi e senza soluzioni prefabbricate. Dal punto registico vanno rilevate alcune trovate alla Dogville (o alla Magnolia) e deprecata una voce fuori campo insistente e onnipresente per quasi tre quarti di film. Non imperdibile, ma degno di una visita.

Manderlay è in tutti i sensi il seguito di Dogville , e rispetto a questo soffre di alcune mancanze. Ci manca la novità, la sorpresa della realizzazione scenica, che qui è poi meno estremizzata, con più muri sul set; ci manca Nicole Kidman; ci manca la forza della amara parabola del primo film.
E' un film più debole rispetto al capostipite, ma la cosa è quasi naturale. Von Trier ha inventato un modo di introdurre il teatro brechtiano al cinema davvero geniale, che conserva la recitazione naturalistica degli attori ma ottiene ugualmente straniamento e epicità; se nel primo film si appoggiava decisamente a Brecht mettendo in scena una variazione de L'anima buona del Sezuan qui naviga più liberamente ma con meno grandezza propositiva e con meno possibilità di sorprenderci. Niente di male; per me potrebbe portare l'esperimento ben al di là della trilogia americana e produrre decine di film con questo modulo. Tutto sommato è come andare a teatro; la disillusa visione dell'umanità che traspare dalle storie mi è poi particolarmente congeniale. L'unico appunto che faccio è simile a quello del primo film; i titoli di coda rendono la vicenda prettamente "americana"; se non ci fossero, se ci si mantenesse in un ambito più universale, preferirei. Questi non sono gli americani, questa è l'umanità.

Niente da nascondere sembra produrre nei recensori una insana necessità di usare termini come "universo diegetico" o "pensiero lockiano", e questo è male. Però è indubbio che è un film di cui è molto difficile parlare, perché ci pone di fronte non ad un enigma ma a un mistero. Freddo e algido ma non privo di anima come tanto cinema teorico, colloca lo spettatore nello stesso luogo dei personaggi, di fronte ad un mondo illuminato parzialmente da lampi di luce e che ci resta indecifrabile, incomprensibile. Rispetto ad altri lavori di Haneke, a una certa distanza dalla visione posso dire che ferisce meno in profondità, sedimenta di meno, è meno tossico. Manifesta inoltre una forte caratterizzazione politica, una decisa "francesitudine" che rende meno coinvolgente il tema, forse, per un italiano.
Però certamente da vedere.

The Descent è un horror che sta generando entusiasmi eccessivi, ma non si può negare che abbia molte frecce al suo arco. Claustrofobico, secco, non privo di ironia, girato con abilità, sceneggiato con bravura, recitato con convizione. Onesto.