Il weblog di Gokachu |
mercoledì, settembre 01, 2004
Visto oggi: Fahrenheit 9/11
Aspettavo al varco l'ultima fatica di Michael Moore ma devo ammettere che è un film milgiore di come me l'aspettavo. Nonostante i difetti del regista non siano affatto tenuti a freno ma dilaghino durante la proiezione, alcune sequenze sono davvero ben pensate e montate, specie quelle costruite interamente con materiale di repertorio preso dalla televisione, e raggiungono una grande efficacia emotiva. Il semplice fatto di vedere certe immagini e di udire certi suoni in un cinema e non di fronte all'innocua tv li carica di una forza nuova; se poi ci aggiungiamo la spudorata e scopertissima abilità manipolativa del regista, il gioco è fatto. Meno felici sono le immagini riprese direttamente in pellicola da Moore, specie quando lui è in scena e vaga alla ricerca di vittime da linciare. Per fortuna non sono molte. Il film, diviso in tre parti (elezioni/le relazioni tra le famiglie Bush e Bin Laden/la guerra in Iraq), non è molto equilibrato, e fasi più interessanti si succedono ad altre francamente sconsolanti, dove, per farla breve, non si capisce un tubo tranne che Moore sta insinuando (senza molte prove) che Bush è un poco di buono che agisce per mero interesse personale. L'ideologia sottesa al lavoro, come è già stato detto, non è quella che avrebbe un pacifista europeo, ma una forma di pacifismo patriottico davvero molto americano, che però su uno spettatore come me (che non si commuove di fronte alla bandiera italiana, figuriamoci quella americana) non può avere molta presa. E ora che ne ho parlato meno male del previsto (ma la Palma d'oro rubata a Park grida ancora vendetta), una nota nostalgica: erano così brutti i tempi in cui il carrello in avanti di Pontecorvo in Kapò gli guadagnava il profondo disprezzo di Rivette? Quelli in cui si parlava di moralità dello sguardo? Qui Moore esplora con la macchina da presa nel dolore dei familiari dei caduti senza nessuna pietà per loro né per noi. Sia ben chiaro, per me in amore, in guerra e dietro alla macchina da presa tutto è permesso, ma un po' di pudore male non avrebbe fatto. Anzi, avrebbe potuto essere un pudore toccante. Roba per gente dal palato fine, forse, e non per le folle elettorali che sono l'evidente obbiettivo del film.
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