Il weblog di Gokachu


venerdì, novembre 12, 2004
Visto ieri: Three... extremes
Rompo la tradizione di non commentare i film su cui viene fatto un quiz (tradizione da me stesso creata e che mi permette di segnalare un film evitando di esprimermi al riguardo) per parlare di Three... extremes, precedentemente noto come Three monsters. Seguendo la falsariga del precedente horror panasiatico Three, sono tre episodi diretti da un regista hongkonghese, uno coreano e uno giapponese, ma questa volta assai più prestigiosi: Fruit Chan, Park Chan-wook e Takashi Miike. La cifra comune ai tre film è la grande eleganza e raffinatezza della messa in scena, seppur nella differenza degli stili.

Il film di Fruit Chan, Dumplings, è fotografato da Christopher Doyle, e questo ci dice già molto; si tratta di una storia di cannibalismo a fine estetico, raccontata in maniera scanzonata pur nella sua durezza, e con un finale di grande effetto. Il tema non è particolarmente originale, ma la realizzazione lo è, dando vita ad un ottimo risultato. Di quest'episodio esiste una versione lunga, un film autonomo di un'ora e mezza, che non vedo l'ora di vedere.

Il pezzo di Park Chan-wook, Cut!, ampiamente celebrato (vedi link), è dal mio punto di vista assai deludente. Sembra quasi una parodia dei film di Park: i temi sono gli stessi, e anche lo stile registico, ma estremizzati al punto da diventare fortemente grotteschi. Il motivo scatenante della vendetta, tema principe dell'ultimo Park, è tra i più vacui mai visti; l'elaborazione della vendetta è così ingegnosa e complessa da rasentare l'assurdo dei cartoni Warner; lo svolgimento e il finale sono l'eccesso fatto pellicola. Non so se Park abbia voluto volontariamente prendere in giro il suo cinema o no; in entrambi i casi il lavoro è poco soddisfacente, troppo artefatto per essere preso sul serio e troppo poco comico per essere una parodia ben riuscita. Se l'autore non fosse lo stesso Park, penserei ad una presa in giro piena di livore.

Il film di Miike, Box, è interessante, è l'unico senza traccia di ironia, l'unico a voler essere davvero un horror. Miike ci stupisce con una realizzazione calibrata, misurata, più attenta ai vuoti che ai pieni, che nelle atmosfere mi è parsa debitrice dei lavori di Maruo (ed è una bella idea questa, fare cinema a partire dalle sue opere; vorrei vedere un film intero tratto per esempio da Il vampiro che ride). Miike dimostra di poter trattare la materia con la freddezza necessaria, oltre a dimostrare per l'ennesima volta di essere un maestro della duttilità; per me (che non ho visto Izo) la visione è stata confortante dopo le ultime prove, non proprio esaltanti, del regista giapponese.

Complessivamente, nei suoi tre episodi, il film è un piacevole divertimento abbastanza innocuo e una gran festa per gli occhi in tutte le sue parti, nessuna esclusa, senza per questo indulgere al vuoto formalismo. Consigliato ma non indispensabile.
Per procurarselo