Il weblog di Gokachu


lunedì, dicembre 06, 2004
Visto oggi: The black mask 2
C'è qualcosa che rende assolutamente unico il cinema hongkonghese nel panorama del cinema orientale. E' la dissoluta generosità, la prodigalità infinita, dei suoi autori. Tranne rare eccezioni, non sono custodi del loro talento, non lo riservano per le grandi occasioni, non lo centellinano, non lo amministrano con saggezza. Lo disperdono.

Prendiamo uno come Tsui Hark, una leggenda vivente, uno che potrebbe vivere di ricordi, uno che ha già fatto tutto quel che si può fare. Chi o cosa lo spinge ad affrontare un film come questo, francamente brutto, con tanto di supereroi in calzamaglia, fan service, e bambino imbranato che aiuta l'eroe?

Prendiamo uno come Andrew Lau, uno di quelli raffinati, un amico di Wong, uno che ha appena diretto una trilogia che resterà nella storia del cinema. Chi glielo fa fare di girare un horror impresentabile?

La sete di denaro? Il rincoglionimento avanzante? No, lasciatemi credere che sia la passione, la voglia di filmare, di girare, la voglia di sperimentare, la assoluta temerarietà di fronte al limite del buon gusto, la disperata necessità di osare, di puntare tutto, e perdere. Ma anche l'interpretare il proprio lavoro come un mestiere artigiano, dove può capitare di dover costruire un oggetto di classe oppure uno rozzo, se c'è la commissione. Il non sentirsi artisti, per niente, anche se lo si è, e di grande valore.

Il coraggio sventato di Icaro e/o l'umiltà solida di Dedalo.

Coreani e giapponesi sono molto più vicini agli autori europei. Hanno tematiche e stili molto diversi da questi, ma sono simili nei comportamenti, sono animali affini. Gli hongkonghesi sono una razza a parte. Si sputtanano con una leggerezza inaudita. Non li capisco, li amo. Come loro non c'è (quasi) nessuno.