Il weblog di Gokachu |
mercoledì, febbraio 22, 2006
Inediti cinefili: Benny's video
Preambolo: da oggi nasce una nuova rubrica dedicata al cinema "raro". Nonostante il titolo non si occuperà solo di inediti ma anche di film che hanno avuto una distribuzione sghemba, che sono passati solo a Fuoriorario o solo sul satellite, che sono usciti al cinema ma in poche sale, insomma di film che per causa di forza maggiore vi/ci siamo persi. Il mercoledì pomeriggio, tra una partita di Champions e l'altra, voglia e impegni permettendo. Ci sembra di seguire qualcosa che succede ora ma improvvisamente un rewind ci fa capire che quel che vediamo è una videocassetta. La narrazione è contrappuntata da immagini televisive che parlano di una guerra lontana e di responsabilità ineluttabili. Un padre non capisce cosa sta succedendo, e cerca di proteggere il figlio. La vita di una famiglia borghese - metaforicamente di tutta la borghesia - viene distrutta da un video. Sembra di star parlando dell'ultimo film di Michael Haneke, ma invece stiamo parlando del secondo, di quasi quindici anni fa. Sono impressionanti le somiglianze tra i due film, tanto che viene i dubbio che Caché non sia che la versione francese di questo; il finale di Caché assume nuove, inquietanti prospettive se pensiamo che forse Benny e Pierrot sono la stessa persona. Anzi, più ci penso più ne sono certo: Benny e Pierrot sono la stessa persona. I film differiscono nel fatto che mentre il primo segue lo sguardo del figlio, il secondo segue lo sguardo del padre. Fatto il dovuto parallelismo, non esito a dichiarare che preferisco il film più vecchio. Pur essendo tutto sommato un lavoro ancora imperfetto, lo stile del giovane cinquantenne Haneke è già al suo meglio. In primis gli attori austriaci sono molto più adatti alla sua poetica dei più espressivi e mediterranei attori francesi; lo sguardo candido di Arno Frisch - che abita gli incubi di molti dopo la visione di Funny Games - e la flemma dei genitori - che al massimo esplode in un singulto trattenuto e non certo in grida o strepiti - sono decisamente più adatti al raggelante intento che il regista si propone sullo spettatore. In secundis lo sviluppo "teorico" è presente, ma non viene mai portato in primo piano, lasciato sullo sfondo per chi ha voglia di andarlo a cercare. Infine il film francese ci propone una certo scomoda ma comunque possibile identificazione nel protagonista; il film austriaco è molto più straniante, ci mette con le spalle al muro. Guardiamo nell'abisso, noi, da soli, senza la compagnia di nessuno. Qui siamo di fronte ad un'esperienza cinematografica davvero indimenticabile. All'inizio si può anche guardare con una certa leggerezza, ma dopo la scena "madre" (dove già la tecnica di Haneke di far accadere ciò che è osceno appena fuori dal campo visivo ottiene uno dei suoi risultati più alti) lo spettatore rimane inchiodato fino alla fine davanti allo schermo come una farfalla infilzata da uno spillo, incapace di distogliere lo sguardo di fronte a qualcosa di veramente orribile, di incomprensibile, ma di misterioso e di vero. Sospeso per più di un'ora tra un battito di cuore e l'altro, incapace di pensare, capace solo di assistere, impotente e fragile. Haneke fa violenza su di noi, forse più di quanta ne faccia sui suoi personaggi, come pochi sanno fare in tutto il panorama mondiale, e con una forza che lui stesso raramente ha usato altrove. Senza sconti, senza vie di fuga. Cinema duro e tremendo, a cui non si può sopravvivere. Atrocemente necessario. Per procurarselo
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