Il weblog di Gokachu


mercoledì, novembre 08, 2006
Esma vs Babel
Cos'è meglio, il cinema autoriale, femminile, intimista, premiato a Berlino della bosniaca Jasmila Zbanic o il cinema pretenzioso, distrutto da ogni critica avveduta del messicano venduto agli americani Alejandro González Iñárritu? Senza dubbio il secondo.

Ho una insana passione per il cinema jugoslavo o ex tale, e quindi non posso che avere simpatia per la Zbanic e Il segreto di Esma – Grbavica; e non è un brutto film. Però se lo togliamo dal contesto di Sarajevo e lo immaginiamo, identico, girato da un'italiana, perde quasi tutto il suo fascino. Dialoghi persistenti e lunghi, personaggi secondari tagliati decisamente con l'accetta e stereotipati, un unico nodo drammatico che impiega tutto il film a svolgersi ed esplode solo alla fine, donandoci l'unica vera emozione del film. Cinema piccolo e davvero minore, quasi televisivo; e che lascia poco, se non l'indistinta percezione di un dramma femminile nei Balcani. Ho la sensazione che l'Orso d'Oro sia stato assegnato a questo film per motivi di simpatia extracinematografica: simpatia per la giovane nazione, simpatia per le registe donne, simpatia per il cinema dell'est, simpatia per Sarajevo. Tutte simpatie che ho anch'io, ma che non reputo sufficienti a sconfiggere in una competizione film di registi come Chabrol e Altman (che peraltro non ho visto, vado sulla fiducia).

Babel invece, con la sua dimensione ampiamente epica, di emozione ne produce a fiotti. Iñárritu è accusato da critica e blogger di essere artificioso, di lavorare solo sul pano dello stile con grande insincerità, di essere un freddo manipolatore insomma. Più o meno le accuse che vengono fatte ad un regista completamente diverso, Lars Von Trier. A me piaccono, e molto, l'uno e l'altro. Sarà pur vero che l'appuntamento col destino fissato dall'esplosione di un colpo di fucile in Marocco non è che un artificio drammaturgico privo di vera profondità e meccanicamente concepito per unire quattro cortometraggi; ma come storcere il naso di fronte ad un autore che con due battute e un'inquadratura è in grado di farci conoscere i personaggi, di farci partecipare alle loro sorti, di farci emozionare a quel che a loro succede? Il merito è sia della grandissima abilità stilistica del nostro dietro alla macchina da presa - che gli viene rinfacciata quasi fosse un difetto, compiaciuta la definiscono - sia della meravigliosa direzione degli attori (o se vogliamo della bravura degli attori), che dona una profondità immediatamente riconoscibile ai personaggi. Ciò che la Zbanic impiega 90 minuti e molte linee di dialogo ad ottenere, Iñárritu e il suo cast lo ottengono in pochi istanti.

Scaglio così il mio cuore oltre l'ostacolo e dichiaro: da molto, troppo tempo non uscivo da un cinema pensando che fosse valsa la pena entrarci. Con Babel mi è successo.

Tenetevi il vostro cinema piccolo, intimista, dialogato, ricco di messaggi importanti per la pace nel mondo, e lasciatemi il cinema drogato, ambizioso, artificioso, pretenzioso, che non mi fa sbadigliare mentre sono in sala o rimpiangere di non star facendo altro, che parla a me e non ai grandi della terra.