Il weblog di Gokachu |
domenica, aprile 13, 2008
America oggi: Gone Baby Gone
Non si capisce bene dove Ben Affleck abbia potuto apprendere l’arte della regia. Difficilmente è successo durante la sua carriera d’attore, dove ha accompagnato varie disavventure di Kevin Smith, è stato l’attore simbolo del cinema di Michael Bay e ha impersonato Devil in uno dei film più brutti mai tratti dai comics (DareDevil di Mark Steven Johnson). Forse dal contatto con Gus Van Sant (Affleck è stato cosceneggiatore e coprotagonista di Good Will Hunting), avvenuto ormai più di dieci anni fa. Fatto sta che il nostro ha imparato benissimo, contro ogni attesa, e che Gone Baby Gone è un lavoro inappuntabile sia dal punto di vista della regia che da quello della direzione degli attori. Soprattutto sotto quest’ultimo aspetto, Affleck ci sorprende; lui, che misurato non è stato mai, impone a tutto il cast una recitazione realistica e contenuta, nella quale anche i personaggi più eccessivi non superano mai il limite della credibilità. Il film narra la storia di Patrick Kenzie e Angie Gennaro, una coppia di investigatori di Boston protagonisti di alcuni thriller di Dennis Lehane, qui alle prese con la scomparsa di una bambina. Il racconto è decisamente intricato, ma sul finale si svela completamente; va detto che nonostante la nobile origine letteraria – Lehane è l’autore di Mystic River, da cui è stato tratto il pluripremiato film di Clint Eastwood – le qualità del film non si trovano nello sviluppo drammaturgico, che è spezzato, convulso, a tratti eccessivamente oscuro, con non uno ma ben tre finali (di cui il primo dopo soli cinquanta minuti), bensì altrove. Innanzitutto nella descrizione d’ambiente, che fin dai titoli di testa è emblematicamente puntata su quella realtà di "bianchi poveri" che sembra essere per il cinema americano la nuova frontiera della degradazione. Degradazione che è messa in scena senza sconti, ma in modo assolutamente naturale e verosimile, senza artificiosità e forzature; anche le ambizioni etiche del film, il "messaggio filosofico", che in qualche modo non è poi troppo diverso da quello di Non è un paese per vecchi (ovvero: è impossibile essere buoni in un mondo dominato principalmente dal caso), non è portato avanti attraverso le epiche strutture della tragedia, ma attraverso un naturalismo che non molla mai la presa. La seconda grande qualità del film è la capacità di generare forti emozioni. Senza utilizzare strumenti registicamente e figurativamente forti, ma con il semplice uso di mezzi classici come la suspense e il primo piano, con un uso sapiente ed elegante di movimenti di macchina e montaggio, Gone Baby Gone riesce a penetrare nello scrigno dell’emotività dello spettatore lasciandolo in alcuni momenti letteralmente senza fiato. La terza è la straordinaria performance di alcuni membri del cast; più che sulle qualità di Casey Affleck, che secondo lo scrivente sono state forse eccessivamente magnificate – sia per questo film sia per L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford – segnaliamo Ed Harris in una delle migliori interpretazioni di una grande carriera, e Amy Ryan, sorprendente attrice proveniente dalla televisione e assolutamente perfetta nel ruolo ambivalente di una madre poco affidabile. Da non trascurare, infine, l’azzeccatissimo lavoro di casting, con la presenza, tra comparse e personaggi minori, di molti volti che raccontano da soli, senza bisogno di parole, una storia di disperazione, solitudine, emarginazione, violenza. Se mescoliamo tutto questo in una sceneggiatura che non è priva di difetti ma che ha il pregio di porre lo spettatore di fronte a un dilemma morale senza vie d’uscita e alla difficoltà non solo di fare il bene ma di capire dove esso sia, otteniamo un lavoro solido, interrogativo, affascinante, interessante. Non un capolavoro ma un ottimo film, che fa ben sperare sulla futura carriera di questo illustre debuttante. (pubblicato su Cinemavvenire)
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