Il weblog di Gokachu |
giovedì, aprile 22, 2004
The passion of the Christ, una recensione postuma
Antefatto Il "fenomeno" di The Passion of the Christ è sicuramente più importante del film: miracoli, polemiche, successi al botteghino, accuse di antisemitismo, appoggi da parte di ecclesiastici, insomma, non si poteva proprio sopportare. Per cautelarmi dall'effetto fenomeno ho aspettato fino a oggi ad andare al cinema; non che sia bastato attendere per evitarne le nefaste conseguenze: pregiudizi e aspettative. Capitolo 1: le aspettative Quindici giorni di astinenza, a stretto contatto con spettatori non astinenti, hanno prodotto un effetto curioso: l'impressione dei loro racconti si è riversata in me, e mi sono creato in qualche modo un "Passion" ideale, nella mia mente, trasformando in immagini in movimento quei racconti. Ebbene alla prova dei fatti l'immagine gran-guignolesca, sadica, estrema che mi ero fatta del film si rivela inadeguata. Mi aspettavo qualcosa come un Guinea Pig: the crucifixion, o almeno come un Irréversible. Il film, come rappresentazione raccapricciante della sofferenza di un uomo, è invece in qualche modo deludente: in particolare dopo la fustigazione, in cui alcuni momenti sono in effetti di grande forza, il corpo del Cristo trasformato in un reticolo scarnificato lo rende meno umano, e le ulteriori atrocità ci toccano ben poco, le guardiamo più distaccati. La maschera di sangue diventa una maschera che ne copre l'umanità, rendendocene più sopportabile, paradossalmente, la sofferenza. In secondo luogo, al momento della crocefissione, nonostante ci siano tutte le scene che ci sono state descritte, la loro forza è in qualche modo annacquata da un pudore della visione in precedenza assente. La celeberrima sequenza presa pari pari dal libro della Emmerich in cui a Cristo viene dislocato un braccio per poter mettere la sua mano in corrispondenza del foro praticato nella croce, per esempio, è appena abbozzata; io per primo avrei insistito di più. Su questo piano si poteva sicuramente fare di meglio. Zeffirelli descrive Gibson come un regista del sadismo spietato: ha visto poco cinema. Capitolo 2: l'antisemitismo L'antisemitismo presunto del film è probabilmente una delle chiavi del suo successo, senza andare a vedere se lo è perché c'è una domanda latente di cinema antisemita o per il semplice battage pubblicitario che l'accusa ha provocato. In ogni caso, alla resa dei conti, direi che il film si salva da quest'accusa. Certo rischia molto in questo senso, soprattutto nelle sequenze iniziali, quelle dell'arresto di Gesù da parte del Sinedrio, in cui cominciano a essere perpretate le prime sadiche violenze, e nelle prime scene della via Crucis, dove si mostra un popolo ebraico che non desidera niente di meglio che prendere a calci e a sassate un uomo già ridotto a una polpetta insanguinata e sepolto dal peso di una croce gigantesca. Sicuramente Gibson era ben cosciente delle accuse e ha lavorato di aggiunta e di sottrazione in modo da essere almeno ambiguo su questo aspetto; oltre al noto fatto che alla frase "Il suo sangue ricadrà su di noi e i nostri figli" non corrispondano i sottotitoli, che siano stati cancellati particolari imbarazzanti presenti nella versione originale della sceneggiatura, che sia stato dato grande risalto alle figure di Nicodemo e di Giuseppe di Arimatea come plateali oppositori della linea di Caifa, è la figura di Simone da Cirene, l'uomo che aiuta Cristo a portare la croce, ad essere utilizzata in modo da evitare l'accusa. In particolare l'epiteto sprezzante di "Judeus" che un romano gli rivolge inevitabilmente entra in cortocircuito con l'immaginario legato alla Shoah; è difficile a questo punto sostenere che il film sia antisemita. Qui poco ci interessa sapere se Gibson lo sia o no; il film intelligentemente lo evita. Capitolo 3: l'aspetto ideologico A parte per l'antisemitismo, il film è anche accusato di essere rappresentante di un cristianesimo fanatico e cupo, di volgere l'occhio sulla morte e non sulla resurrezione, di essere su posizioni preconciliari e oscurantiste, e infine di predicare l'odio. Mi ha sorpreso molto vedere molti non credenti rifiutare di vedere il film perché in qualche modo non presenta l'idea di cristianesimo che essi trovano accettabile, lamentandosi che "il messaggio evangelico non passa": embé? Su questo punto c'è poco da dire; il film sicuramente è schierato, al centro del film c'è la morte di Cristo e non la sua resurrezione; in quanto incitare all'odio non m'è parso. Ma a me, non credente, non eccessivamente preoccupato della pericolosità dei film, sostenitore di una libertà di espressione quasi integrale, queste cose interessano poco. Se proprio devo dare un'opinione su questo punto, devo dire che apprezzo il fatto che il film rifiuti radicalmente una versione "new age" del cristianesimo, tutto spirito gioia e resurrezione, a favore di una visione del cristianesimo più carnale, meno spirituale, senza aureole e corpi irradianti luce, in qualche modo più "medievale". Se c'è una cosa di cui non si può proprio più sono le agiografie patinate e i cristi biondi e sorridenti. Purtroppo il voler rimanere in qualche modo fedele all'immagine della Sindone e in generale all'iconografia tradizionale non ha permesso a Gibson di mettere in scena un Cristo molto diverso dal solito, ma sicuramente gli sarebbe piaciuto. Del fatto che non sia biondo si fa quasi un vanto. Capitolo 3: film o Sacra Rappresentazione? Tra poco parlerò di The passion of the Christ come film, ma qui mi preme puntualizzare che più che di un film si tratta di una Sacra Rappresentazione. I personaggi sono inevitabilmente piatti (a parte Pilato, che comunque ho visto trattare in modo più raffinato), i dialoghi scarni, la vicenda ben nota, le immagini sono appoggiate all'iconografia pittorica conosciuta, insomma è tutto molto rozzo e superficiale. Ma qui la profondità non interessava, evidentemente; si tratta di una messa in scena della passione fatta con lo stesso spirito con cui si fanno Sacre Rappresentazioni durante la settimana santa. Lo scopo non è né estetico né ideologico; qui ci si vuole evangelizzare, o se siamo già credenti vuole confermarci nella nostra fede. Vedendo la sofferenza del Dio che si è fatto uomo, della morte subita per liberarci dal peccato originale, dovremmo (ri)convertirci. Su questo piano il giudizio non si può dare. Io certo non mi sono convertito; l'effetto su altri può essere ben diverso, ma questo potrà interessare a Gibson, non a me. Capitolo 4: it is as it was Sul fatto che questo sia un film realistico si è parlato molto; la prima versione del commento del Papa al film ("it is as it was", per l'appunto), poi smentita, ha confermato l'idea a questo proposito; l'uso dell'aramaico e del latino ne rafforzano l'impressione, e infine l'occhio aperto su un supplizio rappresentato a vivi colori e certo non edulcorato lo farebbe proprio pensare. Invece io trovo che il fillm non lo sia, né che lo voglia essere; i fatti precedenti (a parte il Papa), sono accidentali. A Gibson non interessa affatto ricostruire l'epoca storica ed essere fedele a quel che può essere successo. Gli interessa invece mantenersi fedele all'iconografia sacra tradizionale occidentale, pur variandola a suo modo per seguire le linee narrative della Emmerich, nel tentativo come abbiamo visto di costruire una Sacra Rappresentazione in forma di pellicola. Conseguentemente il Cristo porta tutta la croce e non il solo patibulum; la sua croce è diversa e più maestosa di quella dei due ladroni; i chiodi vengono piantati nelle mani e non nei polsi, e così via. L'uso dell'aramaico e del latino sicuramente ha contribuito al successo del film; meglio l'aramaico, tutto schiocchi e suoni gutturali. Al latino avrebbe giovato l'uso della pronuncia restituita, non tanto per precisione filologica (che poi è dubbia) quanto perché con i suoi suoni aspri avrebbe funzionato meglio della pronuncia scolastica che è invece stata utilizzata. Le lingue "strane" comunque producono un atmosfera non di realismo ma di sacralità; come una messa in latino. Capitolo 5: the passion of the Christ Abbiamo appena visto che è forse assurdo, ma proviamo comunque a giudicare il film in quanto cinema. Inizia molto bene, con una sequenza suggestiva nell'orto dei Getsemani, e l'apparizione di Rosalinda Celentano colpisce nel segno, con un Satana androgino davevero notevole. La simbologia adottata nell'occasione non è felicissima ma comunque la scena funziona, anche per l'impatto che l'aramaico ha sulle nostre orecchie al primo ascolto. La prima avvisaglia che il film non sia stilisticamente ineccepibile l'abbiamo quando Giuda riceve i trenta denari dai sacerdoti del Sinedrio; non so cosa avesse in mente Gibson qui, ma la scelta di usare il ralenti in quest'occasione è veramente fallimentare. Il ralenti accompagnerà tutto il film, anche se in modo meno disturbante; personalmente, avrò visto troppo John Woo, ma ne avrei comunque ridotto l'uso di molto. La scelta degli attori è parzialmente azzeccata; le donne danno quasi tutte un'ottima prova, con in testa Maia Morgersten, compresa la Bellucci ed esclusa la Gerini; meno bene gli attori maschi. In particolare il Cristo ha effettivamente poche possibilità come personaggio in questo contesto (è una "tinca" come si dice in gergo attoriale), ma James Caviziel non sembra neanche provarci. Sufficienti Pilato, Caifa e Anna; gli aguzzini romani, che per scelta registica sono dei sadici ghignanti, li avrei scelti più simili agli aguzzini di Salò, ovvero le 120 giornate di Sodoma; in ogni caso non recitano. Assolutamente insignificanti gli apostoli, e l'unico ad avere una scena tutta per sé, Pietro, la spreca pessimamente; anche Giuda non è granché. Notevoli le musiche, che riescono a farci credere al film anche nei suoi momenti meno realistici. Comunque il lavoro non è malaccio, a tratti funziona, sebbene avrebbe potuto giovarsi di qualche sforbiciata durante la via crucis, eccessivamente lunga. Alcuni flashback sono interessante: citerei quello della Madonna che vede Gesù, bambino, cadere e accorre a consolarlo, e quello in cui la Maddalena viene salvata dalla lapidazione. Due parole sui momenti che seguono la morte di Gesù: improvvisamente c'è uno scarto di marcia e il film peggiora molto. Una goccia d'acqua (una lacrima?) cade dal cielo e scatena il terremoto; i valenti romani se la danno a gambe in tutta furia (e perché? sono all'aperto); al Cristo viene ferito il costato da cui esce uno zampillo intermittente (ma allora è ancora vivo!) che letteramente annaffia il soldato con la lancia, e apparentemente lo converte. Segue una pietà, dissolvenza al nero, resurrezione. Queste fasi convulse sono davvero poco convincenti; l'effetto digitale della goccia che cade è troppo plateale, anche se l'idea in sé non è pessima; la pietà, pur volendo aver forza pittorica, è orrendamente macchiata dal corpo sfigurato, e perde vigore; la resurrezione di Cristo che si alza in piedi e cammina, senza mostrarci l'incontro con i discepoli, è giustamente reticente, ma la sua realizzazione pratica non soddisfa. Mi è quasi sembrato che il Cristo risorto si alzasse e andasse a cercare la sua vendetta, ma questa è la storia del film che vedremo domani. Frammento di una crocefissione, Francis Bacon
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