Il weblog di Gokachu |
venerdì, novembre 26, 2004
Set virtuali: Immortal (ad vitam) e Casshern.
Quattro sono i film che nel 2004 lanciano la nuova, sconvolgente tecnica cinematografica detta del set virtuale: Sky Captain and the world of tomorrow, Immortal (ad vitam), Casshern e l'ancora in postproduzione Sin City. In realtà ci sarebbe da discutere sul fatto che la tecnica sia effettivamente nuova, ma si sa che gli hongkonghesi non vengono molto considerati negli ambienti giornalistici. Parliamone. Di Sky Captain ho già parlato. Adesso che ne ho visti altri due, posso dire che con tutti i suoi limiti è il film in cui la nuova soluzione viene utilizzata nel modo più elegante, quasi classico, appoggiandosi su schemi visivi noti e senza nessuna volontà di essere ricoluzionaria. A ciò si accompagna una sceneggiatura addirittura obsoleta nei suoi temi, creando una confortevole sensazione di trovarsi a casa. Il film poi non è granché, ma questo è un altro discorso. Immortal (ad vitam) dei tre è il più ambizioso. Forte di un mondo già esistente e sfaccettatissimo, quello che Bilal ha descritto nel suo capolavoro a fumetti La trilogia di Nikopol, forte quindi di una sceneggiatura praticamente già scritta e di visioni già felicemente apprezzate dalla critica, si lancia nel doppio passo di accompagnare anche degli attori virtuali agli attori reali. La tecnologia in realtà non è ancora pronta e il risultato alle prime è fastidioso; ma dopo un po' ci si abitua e non si nota più la differenza. Va detto che il film in sé non funziona molto; invece di approfittare della derivazione fumettistica il lavoro ci affonda, perdendosi in mille rivoli che non vengono mai approfonditi, e dando la tipica impressione di troppa carne al fuoco e troppo poco tempo per svilupparla. Inoltre Bilal, sia detto con tutto l'affetto del mondo, non è particolarmente efficace né nei movimenti di macchina né nella direzione degli attori. Il terzo, Casshern, è il più entusiasmante. Non è un bel film, sia ben chiaro; anche qui si ha l'impressione di un manga di seimila pagine costretto in un film di due ore (e venti). Le cadute di tono sono frequenti, spesso si oltrepassano i limiti del buon gusto visivo, i passaggi logici sfuggono. Però il regista mostra chiaramente di saper fare il suo mestiere in modo eccellente, specie all'inizio, quando la virtualità è ridotta, e di avere stile. Non è questa la causa del mio entusiasmo, ma il fatto che è in questo film che si mostrano appieno le potenzialità del mezzo, anche se non ancora ben sfruttate. Casshern non è altro che un anime live action; il set virtuale ne rende possibile la realizzazione senza che le architetture e le macchine fantastiche divengano ridicole. I giapponesi sono perfetti per utilizzarlo; guardando Casshern siamo in grado di intravedere cosa potrebbe dare il mezzo in mano a uno come Tsukamoto, o Oshii, o Otomo. Ci aspettano grandi cose, da oriente. Come sempre.
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