Il weblog di Gokachu |
martedì, novembre 30, 2004
Visto ieri: Running out of time
Johnny To è l'ultimo dei grandi, il rappresentante del cinema hongkonghese che resiste, che persiste. Ci sono ancora, ovviamente, altri grandissimi registi nella ex colonia britannica, ma sta prevalendo l'occidentalizzazione (che non demonizzo, in Andrew Lau e Wong Kar-wai è occidentalizzazione benedetta); To è quello più legato al periodo classico. In questo film si sviluppa il wooiano tema dello scontro-incontro, della partita a scacchi che diventa amicizia tra poliziotto e criminale: l'esito è interessante, un film molto piacevole, che però non riesce a decollare davvero a causa della disumana scaltrezza e direi superumanità del personaggio di Andy Lau, sporcata ma non abbastanza dal fatto che si tratta di un malato terminale. Non riusciamo così a credere fino in fondo alle ingegnose avventure dei due; il risultato è un divertimento intelligente ma non troppo appassionante. Bravissimi attori e regista. Per procurarselo
Brevi appunti per la sceneggiatura di un film
Il protagonista sogna, e sogna la nascita del Cristo. La seconda persona della Trinità sceglie di non nascere ricco, potente, bello e di famiglia nobile, bensì il più umile degli umili, il più reietto dei reietti. Nasce da una povera ragazza violentata, senza padre, partorito di nascosto in una latrina, cieco, sordo, senza arti, con la bocca che si dilata orrendamente ad includere le narici, una deformazione della colonna vertebrale che lo rende simile ad una palla, già infetto da un morbo fatale che gli fa suppurare un puzzolente liquido giallo da tutti gli orifizi e gli fa emettere un grido gelido, disumano e stridulo. La madre pietosa lo annega dopo pochi istanti. lunedì, novembre 29, 2004
Visto ieri: Infernal affairs II
Non so perché mi sono gingillato con questo fim così a lungo prima di vederlo; probabilmente la sindrome da sequel mi ha colpito (il film è in realtà un prequel). Ebbene, è un film molto molto bello, forse addirittura superiore al precedente, e assai diverso da quello, più corale, senza superstar galattiche, con un gran lavoro di sceneggiatura. Il primo era uno scontro tra due uomini, una sfida all'Ok Corral, un mezzogiorno di fuoco tra talpe, questo è un Padrino in versione hongkonghese, lirico, epico, stratificato, complesso, struggente. Alla fine Sam, personaggio secondario del primo film, ne esce con una grandezza tragica tale da farci retroattivamente dispiacere del destino che là lo coglierà. Mi aspettavo meraviglie da Anthony Wong, invece è lui, Eric Tsang, a giganteggiare. Secondo me se lo si vede senza aver visto il primo film (e quindi senza sapere già chi sopravviverà e chi no) è anche meglio. E ora il terzo. Per procurarselo domenica, novembre 28, 2004
Casshern!!!!!!!!!!!!
Una recensione visionaria quasi quanto il film stesso. (Noterete che molto spesso i (rari) blog che segnalo mi linkano. Vorrei smentire il sospetto che li segnalo con questa discriminante ancor prima che nasca; è che dopo più di due anni di blogging ormai navigo sempre negli stessi posti, e blog nuovi li scopro dalla lista dei referrer. E' l'autunno del blogger)
Segnalazioni televisive in largo anticipo
Chi ha voglia di vedere un film western di più di cinque ore diviso in due parti trasmesse di notte, che all'uscita nelle sale fece fallire la sua (storica!) casa produttrice incassando solo un sessantesimo di quanto era costato? sabato, novembre 27, 2004
Brevi appunti per la sceneggiatura di un film
Il protagonista sogna che c'è il Giudizio Universale. Dio lo giudica esaminando il contenuto di tutti i sacchi di immondizia che ha buttato lungo il corso della sua vita. venerdì, novembre 26, 2004
Set virtuali: Immortal (ad vitam) e Casshern.
Quattro sono i film che nel 2004 lanciano la nuova, sconvolgente tecnica cinematografica detta del set virtuale: Sky Captain and the world of tomorrow, Immortal (ad vitam), Casshern e l'ancora in postproduzione Sin City. In realtà ci sarebbe da discutere sul fatto che la tecnica sia effettivamente nuova, ma si sa che gli hongkonghesi non vengono molto considerati negli ambienti giornalistici. Parliamone. Di Sky Captain ho già parlato. Adesso che ne ho visti altri due, posso dire che con tutti i suoi limiti è il film in cui la nuova soluzione viene utilizzata nel modo più elegante, quasi classico, appoggiandosi su schemi visivi noti e senza nessuna volontà di essere ricoluzionaria. A ciò si accompagna una sceneggiatura addirittura obsoleta nei suoi temi, creando una confortevole sensazione di trovarsi a casa. Il film poi non è granché, ma questo è un altro discorso. Immortal (ad vitam) dei tre è il più ambizioso. Forte di un mondo già esistente e sfaccettatissimo, quello che Bilal ha descritto nel suo capolavoro a fumetti La trilogia di Nikopol, forte quindi di una sceneggiatura praticamente già scritta e di visioni già felicemente apprezzate dalla critica, si lancia nel doppio passo di accompagnare anche degli attori virtuali agli attori reali. La tecnologia in realtà non è ancora pronta e il risultato alle prime è fastidioso; ma dopo un po' ci si abitua e non si nota più la differenza. Va detto che il film in sé non funziona molto; invece di approfittare della derivazione fumettistica il lavoro ci affonda, perdendosi in mille rivoli che non vengono mai approfonditi, e dando la tipica impressione di troppa carne al fuoco e troppo poco tempo per svilupparla. Inoltre Bilal, sia detto con tutto l'affetto del mondo, non è particolarmente efficace né nei movimenti di macchina né nella direzione degli attori. Il terzo, Casshern, è il più entusiasmante. Non è un bel film, sia ben chiaro; anche qui si ha l'impressione di un manga di seimila pagine costretto in un film di due ore (e venti). Le cadute di tono sono frequenti, spesso si oltrepassano i limiti del buon gusto visivo, i passaggi logici sfuggono. Però il regista mostra chiaramente di saper fare il suo mestiere in modo eccellente, specie all'inizio, quando la virtualità è ridotta, e di avere stile. Non è questa la causa del mio entusiasmo, ma il fatto che è in questo film che si mostrano appieno le potenzialità del mezzo, anche se non ancora ben sfruttate. Casshern non è altro che un anime live action; il set virtuale ne rende possibile la realizzazione senza che le architetture e le macchine fantastiche divengano ridicole. I giapponesi sono perfetti per utilizzarlo; guardando Casshern siamo in grado di intravedere cosa potrebbe dare il mezzo in mano a uno come Tsukamoto, o Oshii, o Otomo. Ci aspettano grandi cose, da oriente. Come sempre. giovedì, novembre 25, 2004
Visto oggi: L'uomo senza sonno
Attenzione, contiene lievi spoiler Il piccolo, promettente e già di culto film di Brad Anderson ha molte cose buone, dalla performance quasi da body artist dell'attore Christian Bale, alla sapiente costruzione di un'atmosfera claustrofobica e inquietante, alla fotografia livida, alla rappresentazione della fabbrica come luogo d'estremo orrore, a una delle migliori "case della strega" che io ricordi di aver mai visto, e altro ancora. Tuttavia la corda narrativa viene tirata troppo, allo spettatore vengono forniti troppi elementi e alla fine si abbandona la tensione rivolta al comprendere ciò che veramente è successo per abbandonarsi ad un rassicurante "è malato di mente, deve essere successo qualcosa di brutto un anno prima". Insomma, si diventa sicuri che il protagonista è pazzo, ma pazzo in modo grave, un po' troppo presto, e a quel punto di quel che vede e dice non ci si fida più, non veniamo più sviati, tutto torna all'ordine. Probabilmente se fosse stato più corto (il film però non è lungo) sarebbe riuscito ad arrivare in porto senza cali di vento. Funziona comunque benissimo fino almeno a metà, e da lì in poi comunque se la cava. Menzione obbligata per Jennifer Jason Leigh, che più passano gli anni più trovo affascinante. mercoledì, novembre 24, 2004
Visto ieri: Babbo bastardo
Da questo film mi aspettavo incontrollata trasgressione e gran divertimento. Invece mi sono divertito, ma non quanto mi aspettassi, e di trasgressione non ne ho vista molta, anzi, ha addirittura un finale in cui trionfano i buoni sentimenti. C'è un buon Billy Bob Thornton, lui che si scopa le ciccione nei camerini taglie forti è una bella idea, il bambino ha qualche uscita esilarante, insomma, si può vedere, è un filmetto carino, ma non aspettatevi un'epifania. Se volete vedere un Babbo Natale veramente, veramente cattivo, lo trovate - tanto per insistere sul solito tasto - qui.
Segnaliamo un blog
Quella che mi ha fatto più ridere (per ora) è questa. P.S. Già che ci siamo, segnaliamo pure quest'altro blog. martedì, novembre 23, 2004
Visto oggi: The chronicles of Riddick - Dark Fury
Purtroppo deludente questo breve film d'animazione che fa da ponte tra Pitch black e The chronicles of Riddick. Le voci sono quelle originali e il personaggio di Riddick ne esce a testa alta, insieme ad alcune esplosioni di violenza cruenta che farebbe piacere vedere anche nei film, ma la storia davvero poco interessante, dalle banali premesse e dallo svolgimento piano, e il mio personale poco apprezzamento per lo stile di disegno e di animazione di Peter Cheung (Aeon Flux, Alexander) la rendono un'esperienza evitabile.
Per i fortunelli che abitano a Pisa e dintorni
Il nuovo programma di Arsenale Cinema è ricco di proposte succulente: su tutte la proiezione delle copie restaurate delle opere di Tarkovskij e di Dreyer. Rinunciate a tutto ma non alla visione in sala, in pellicola e in versione originale sottotitolata dell'Andrej Rublev, una delle esperienze più toccanti e entusiasmanti di tutta la mia carriera di spettatore. lunedì, novembre 22, 2004
Visto ieri: The chronicles of Riddick
Date le impressioni lette in giro, avevo accuratamente evitato di guardare questo film al cinema, pur essendomi piaciuto molto Pitch black. Ho fatto probabilmente bene, ma non perché il film sia brutto quanto perché la visione in DVD permette di ascoltare la voce originale di Vin Diesel, che aggiunge molto alla caratterizzazione del personaggio. Il film con le atmosfere di Pitch black c'entra assai poco; l'unico legame alcuni personaggi catapultati da quella a questa avventura. Riddick come cattivo non è più molto credibile, diciamo che è un buono parecchio burbero; il soggetto è più ambizioso, esce dalla fantascienza di serie B e si propone quasi come epopea cimmeriana; la sceneggiatura è molto meno compatta e tende a sfilacciarsi, a introdurre personaggi inutili, a sviluppare poco; la tamarraggine visiva, data dall'uso smodato della CG e da un montaggio a tratti velocissimo, straborda ben oltre i livelli del film originale e diventa quasi fastidiosa. Tuttavia, con i suoi limiti, è un film divertente, con un Vin Diesel in gran forma, con alcune battute d'antologia ("You said it's all circling the drain. The whole universe. Right?" "It is right" "Had to end sometime"), con alcune scene d'azione interessanti e con un ruolo da Lady Macbeth - ahimé troppo piccolo - per la beneamata (da me) Thandie Newton. Insomma, si può vedere. domenica, novembre 21, 2004
sabato, novembre 20, 2004
(ri)Visto oggi: Manhunter
Ho sempre odiato le recensioni saputelle che parlano di un film a partire dal libro da cui è tratto. Mi viene sempre da pensare: "Embé?". Ebbene, questa è proprio una di quelle recensioni, e per di più il libro me lo ricordo approssimativamente, quindi cercheremo di farla breve. Secondo un tale che viene intervistato negli extra del DVD, il film è stato intitolato Manhunter e non Red dragon come il libro da cui è tratto perché si temeva fosse preso per un b-movie di arti marziali. Ebbene, la scelta del titolo è davvero azzeccata per descrivere in una sola parola il film; e ne descrive anche il limite principale, considerandolo dal punto di vista del libro. Nel romanzo, a mio parere in assoluto il migliore di Thomas Harris, due grandissimi personaggi vengono contrapposti: Will Graham, l'investigatore che si immerge nella mente dell'assassino, il detective potenziale psicopatico, il cacciatore di pazzi, e Francis Dolarhyde, il Drago Rosso, il serial killer, il personaggio che dà il titolo al libro. Nel film il secondo è quasi assente: si perde del tutto la sua grandezza mitologica, si perde il flashback sul suo passato, si perde prima l'indicibile orrore e poi la dolorosa compassione che proviamo per lui, si perde il lancinante desiderio, alla fine, quando sembra aver trovato una stabilità grazie all'amica cieca, il lancinante desiderio del lettore che Dolarhyde NON venga catturato, che viva felice per sempre libero e senza commettere più crimini. La grandezza di Red dragon (romanzo) rispetto a Il silenzio degli innocenti (romanzo) è proprio in questa profondità dell'assassino e in questa capacità di farcelo sentire fratello, elementi assenti nel Buffalo Bill mediocre "eroe" del secondo (per quanto ampiamente compensati dallo sviluppo del personaggio di Lecter e dallo studio su Clarice Starling). Nel film di Mann Dolarhyde non c'è. E' un film SOLO su Graham. Il titolo quindi non poteva che far riferimento a lui. Peccato. venerdì, novembre 19, 2004
Adattamenti
Continua l'epica impresa degli adattatori di titoli italiani per ritrovare la razionalità dell'universo, riducendo l'ignoto al noto* e l'inquietante al rassicurante**. *Il piccolo cult The machinist diventa L'uomo senza sonno, ennesimo "uomo senza" dopo L'uomo senza passato, L'uomo senza ombra, L'uomo senza paura, L'uomo senza volto, L'uomo senza speranza, L'uomo senza corpo. **L'argentino Un mundo menos peor diventa Tutto il bene del mondo. giovedì, novembre 18, 2004
Per i romani fortunelli
Sabato parte Asiatica Film Mediale, un'orgia di film asiatici rigorosamente gratis. Tra i film presentati, a parte i classici (un introvabile Mizoguchi, Oshima, Suzuki), dei pochi che ho visto mi sento di consigliare Doppelgänger di Kiyoshi Kurosawa, da vedere alla presenza dell'autore con introduzione di Nazzaro il 25 alle 21 presso la Casa del cinema.
Tonight on TV
Un mezzo bluff sopravvalutato dai cinefili e dai fans di Clint - Il Mereghetti, dizionario dei film
Visto ieri: Sky captain and the world of tomorrow
Effetto Final fantasy per questo film. Ovvero, splendore visivo incredibile, tanto da dar vita a trailer del tutto irresistibili, che però, quando dopo qualche minuto l'occhio si è abituato, non è sorretto da una sceneggiatura all'altezza e dà vita a un esperienza filmica tutto sommato mediocre. "Ritorna la grande avventura", diceva la locandina de I predatori dell'arca perduta nel lontano 1981; ma era una grande avventura mediata dall'ironia del postmoderno, con un eroe imperfetto e goffo; qui invece è il ritorno della grande avventura pari pari, senza grandi variazioni dai modelli originari, se non che la misoginia imperante viene stemperata un poco (ma solo un poco). Non è niente male davvero l'idea di partenza, ovvero quella di recuperare le atmosfere dei comics americani d'avventura degli anni '30, accompagnate da una fotografia a metà tra l'estetica della propaganda sovietica e il cinema espressionista di quegli anni. Purtroppo l'aspetto narrativo non è al livello (altissimo) di quello estetico; mai davvero ci appassioniamo alle vicende raccontate e rimaniamo di fronte alle immagini contemplandole senza emozione. E' il difetto di molto cinema di questi giorni (Hero, 2046) quello di avere altissimi valori tecnici e poco più; ci sarà da ragionarci sopra prima o poi. In questo caso quantomeno siamo di fronte ad un'operazione che si pone esplicitamente come unico scopo l'intrattenimento, senza presunzioni o ambizioni artistiche. Brutto, ma interessante.
Uno sguardo pessimista sul mondo
Secondo Libero Berlusconi sta perdendo consensi. Qualcosa di falso ci sarà.
Visto negli ultimi giorni: The quiet family
Confusa sensazione di deja-vu. Io questa famiglia strana, che compra un albergo piantato in mezzo al nulla e aspetta inutilmente degli ospiti l'ho già vista. Questo film l'ho già visto. Però ste facce, mica le riconosco... e sta vecchia, non me la ricordavo, e invece è un bel personaggio. Ma sì! Deve essere un remake di The happiness of the Katakuris. Aspetta che controllo... no, è il film di Miike ad essere un remake di questo! Ma pensa un po'... E' difficile giudicare serenamente The quiet family per chi ha visto il suo visionario e demenziale remake; quindi non lo faccio, lo giudico poco serenamente e molto parzialmente. La struttura drammaturgica è tutta lì, è la stessa, ma il regista, per qualche motivo, si rifiuta di farla esplodere in modo catastrofico, come sarebbe davvero necessario, e invece la contiene e la comprime. Non chiedevo che diventasse un musical con gli zombie, ma quel che si vede qui è un film ben costruito, di elegante realizzazione, dal soggetto dirompente e dallo svolgimento scolastico, diligente, poco soddisfacente. Se non avessi visto il remake, la mia opinione sarebbe forse molto più favorevole; ma questo è un raro caso in cui il film derivato è estremamente superiore all'originale.
Fuga su Luna 2
Chi come me sta seguendo Gundam sappia che è stato spostato nuovamente nel palinsesto ballerino di Italia 1, stavolta il sabato alle 10.45. mercoledì, novembre 17, 2004
martedì, novembre 16, 2004
lunedì, novembre 15, 2004
News News News
Il prossimo film di Zhang Yimou non sarà un terzo wu-xia splendidamente fotografato e dai meravigliosi costumi, bensì un film a basso budget con Ken Takakura, ambientato nel mondo dell'opera di Yunnan. Insomma, parrebbe un ritorno allo Zhang più consueto. (via Monkeypeaches) domenica, novembre 14, 2004
Mangiato negli ultimi giorni: il menu orientale di McDonald's
Amante dell'Oriente e non sprezzante rispetto alla sua occidentalizzazione, mercificazione e massificazione, mi sono recato (in più puntate) presso il locale McDonald's per provare i nuovi favolosi prodotti, in vendita solo per alcune settimane. Ecco gli spassionati risultati. Oriental burger: un normale panino (o almeno non ho notato niente di particolare) con due hamburger disposti uno accanto all'altro invece che uno sopra l'altro. Poco invitante, poco gustoso, per niente orientale, mediocre come sono gli hamburger di McDonald's. Gamberi Zen: sono dei gamberetti sgusciati e impanati; i gambereti non sono male, mentre l'impanatura è quella caratteristica di McDonald's, ovvero troppo compatta e fritta a temperatura troppo alta. Non malaccio ma il rapporto qualità prezzo è disastroso. Involtini primavera: il pezzo "forte" della collezione. Sono dei mini involtini primavera, a livello di un ristorante cinese medio-basso, il cui prezzo è sufficientemente economico da renderli uno snack passabile. Samurai shake: un innocuo milk shake, con i soliti pregi e difetti, con il vezzo di una decorazione al cioccolato nell'interno del bicchiere. Nessuna traccia di oriente; la qualità è quella abituale.
2046 di merda
Delio scrive poco di cinema (scrive poco tout court ultimamente, a dire la verità); però quando succede lo fa con grande furore e violenza, senza peli sulla lingua, come piace a me. E poi è rassicurante, avendo la stessa posizione, ritrovarsi moderato, scoprire di avere qualcuno alla propria sinistra - era già successo con Lost in translation. venerdì, novembre 12, 2004
Visto ieri: Three... extremes
Rompo la tradizione di non commentare i film su cui viene fatto un quiz (tradizione da me stesso creata e che mi permette di segnalare un film evitando di esprimermi al riguardo) per parlare di Three... extremes, precedentemente noto come Three monsters. Seguendo la falsariga del precedente horror panasiatico Three, sono tre episodi diretti da un regista hongkonghese, uno coreano e uno giapponese, ma questa volta assai più prestigiosi: Fruit Chan, Park Chan-wook e Takashi Miike. La cifra comune ai tre film è la grande eleganza e raffinatezza della messa in scena, seppur nella differenza degli stili. Il film di Fruit Chan, Dumplings, è fotografato da Christopher Doyle, e questo ci dice già molto; si tratta di una storia di cannibalismo a fine estetico, raccontata in maniera scanzonata pur nella sua durezza, e con un finale di grande effetto. Il tema non è particolarmente originale, ma la realizzazione lo è, dando vita ad un ottimo risultato. Di quest'episodio esiste una versione lunga, un film autonomo di un'ora e mezza, che non vedo l'ora di vedere. Il pezzo di Park Chan-wook, Cut!, ampiamente celebrato (vedi link), è dal mio punto di vista assai deludente. Sembra quasi una parodia dei film di Park: i temi sono gli stessi, e anche lo stile registico, ma estremizzati al punto da diventare fortemente grotteschi. Il motivo scatenante della vendetta, tema principe dell'ultimo Park, è tra i più vacui mai visti; l'elaborazione della vendetta è così ingegnosa e complessa da rasentare l'assurdo dei cartoni Warner; lo svolgimento e il finale sono l'eccesso fatto pellicola. Non so se Park abbia voluto volontariamente prendere in giro il suo cinema o no; in entrambi i casi il lavoro è poco soddisfacente, troppo artefatto per essere preso sul serio e troppo poco comico per essere una parodia ben riuscita. Se l'autore non fosse lo stesso Park, penserei ad una presa in giro piena di livore. Il film di Miike, Box, è interessante, è l'unico senza traccia di ironia, l'unico a voler essere davvero un horror. Miike ci stupisce con una realizzazione calibrata, misurata, più attenta ai vuoti che ai pieni, che nelle atmosfere mi è parsa debitrice dei lavori di Maruo (ed è una bella idea questa, fare cinema a partire dalle sue opere; vorrei vedere un film intero tratto per esempio da Il vampiro che ride). Miike dimostra di poter trattare la materia con la freddezza necessaria, oltre a dimostrare per l'ennesima volta di essere un maestro della duttilità; per me (che non ho visto Izo) la visione è stata confortante dopo le ultime prove, non proprio esaltanti, del regista giapponese. Complessivamente, nei suoi tre episodi, il film è un piacevole divertimento abbastanza innocuo e una gran festa per gli occhi in tutte le sue parti, nessuna esclusa, senza per questo indulgere al vuoto formalismo. Consigliato ma non indispensabile. Per procurarselo giovedì, novembre 11, 2004
Visto oggi: Cinque dita di violenza (aka The king boxer)
Due inusuali parole sull'edizione: ho comprato il DVD della Fabbri, che sta andando in edicola con una collana di vari classici di arti marziali. Se ne vedete qualcuno in edicola, evitate l'acquisto per quanto possa sembrare allettante: il DVD in mio possesso ha una qualità video scarsa, al livello di una VHS acquistata usata in una videoteca e sfinita dai noleggi, non ha l'audio originale ma soltanto un misero doppiaggio italiano ed è del tutto priva di extra. E l'ho pagato tredici euro, badate ben. Se proprio non ce la fate - questo mese esce Project A, tanto per fare un nome grosso - ripegate sulla VHS, più economica e probabilmente di pari qualità. Il film in sé è molto piacevole; i combattimenti non sono coreografati in modo particolarmente entusiasmante ma sono onesti, e lo svolgimento con le sue ingenuità e i suoi stereotipi è comunque coinvolgente grazie a vari cambi di fronte, alla crudeltà efferrata dei cattivi (una volta tanto non m'è nemmeno passato per la testa di tifare per loro), al grand guignol strabordante (purtroppo in gran parte tagliato nella scandalosa versione a mia disposizione) e ad alcune caratterizzazioni convincenti. Un film leggendario che pur ormai datatissimo rimane comunque una piacevole visione. mercoledì, novembre 10, 2004
Visto oggi: Il segreto di Vera Drake
Il recente vincitore del Leone d'oro nonche della Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile a Venezia passa come una profonda riflessione sul tema dell'aborto, riflessione così profonda da avergli meritato anche i riconoscementi di organizzazioni cattoliche pur mettendo in scena, con molta simpatia, una mammana non pentita dei suoi gesti. Nulla di tutto ciò. Per quanto se ne parli, in poche, laconiche battute, anche se niente affatto disprezzabili ("Con mia madre vivevamo in sei in due stanze. Quando non puoi sfamare i tuoi figli, non puoi nemmeno amarli"), il tema dell'aborto è solo un pretesto, una trappola teatrale, per la rappresentazione contemporanea di un dramma e di una tragedia (uso i due termini in senso tecnico). Il dramma è quello di una famiglia paraborghese, per quanto in realtà proletaria, nella quale avviene una catastrofe. E' questo il livello di racconto più abituale per Leigh e anche quello meglio riuscito, complici le bellissime interpretazioni di tutti gli attori, anche quelli impegnati in piccole parti (come quasi sempre nel suo cinema). Per quanto il film fatichi un po' a entrare in sintonia con lo spettatore, impiegandoci quasi un'ora, quando la catastrofe avviene tutto è pronto e inevitabilmente il meccanismo funziona, strappando le lacrime (anche questo, come quasi sempre nel suo cinema). Rispetto ai film precedenti direi però che su questo livello si sente di più il rumore della cucina, l'artificio; molti han parlato del suo film migliore, del suo capolavoro come dice la locandina, ma su questo non sono affatto d'accordo. La tragedia è invece quella che contrappone la bontà e l'altruismo alla legge. Su questo piano il lavoro è piuttosto didascalico, con il tema che viene spiattellato esplicitamente da vari personaggi - e in particolare dal giudice al processo - ed inoltre non è avvincente. In Antigone si scontrano legge scritta e legge del sangue, il tema è più barbarico e archetipico e ci tocca davvero nell'intimo; qui la bontà, rappresentata da Vera, non assurge mai a dignità tale da contrastare sul piano metafisico la legge in modo serio. Su questo piano il film vale poco, e probabilmente anche Leigh non ci credeva molto. Infine c'è anche la critica sociale, lo sguardo ipocrita della borghesia, il fatto che ciò che al ricco è consentito, anche al di fuori dela legge, al povero è negato; su questo livello davvero poco da dire, essendo poco pungente, e rappresentato per la maggior parte dall'unico personaggio poco riuscito, la cognata della Drake. Tutto sommato, un film che certo non fa disonore al Leone d'oro e fa davvero onore alla Coppa Volpi; difficile però pensare il film di Kim gli potesse essere inferiore.
I grandi bluff: il cinefilo (3)
(le puntate precedenti qui e qui) 7) Vagheggiate una passata età dell'oro e disprezzate i contemporanei Questa regola è estremamente comoda, in quanto vi permette di tagliare corto con ogni discussione riguardante registi contemporanei e quindi di evitare di aggiornarvi faticosamente sulle novità per rimanere all'altezza della vostra fama. Costruitevi un passato di giganti che conoscete dignitosamente bene, e contrapponetelo a qualsiasi novità si faccia largo fino a voi. Lamentatevi del fatto che il vostro uditorio apprezzi, per esempio, Wong Kar-wai solo perché non ha mai visto Vivre sa vie, schernitelo per la sua ignoranza del passato e insistete con l'argomentazione che il regista in discussione non è altro che minestra riscaldata, e pure insipida. Avvertenza: questa argomentazione rischia fortemente di farvi passare per un vecchio rincoglionito prigioniero dei suoi ricordi, per cui è consigliabile metterla in pratica solo se si hanno meno di trent'anni, anzi, per sicurezza, meno di venticinque. Nel caso ne abbiate di più... 7a) Evitate di parlare dei classici in nome del fatto che "il cinema è vita e avviene ora" martedì, novembre 09, 2004
Mi s'intorciglia la lingua
Non è male il sito in flash del remake americano del remake cinematografico di Ju-on. domenica, novembre 07, 2004
sabato, novembre 06, 2004
Chi è la più bella attrice cinese?
Gervasini aveva ragione, o almeno la sua opinione è maggioritaria. La più bella delle attrici cinesi è Zhang Ziyi che raggiunge il 37% delle preferenze. Segue Maggie Cheung con il 27% e terza è Shu Qi con il 20%. Siccome sono un sore loser lasciatemi dire che nonostante in 2046 la Zhang sia fotografata benissimo, ai miei occhi innamorati i pochi fotogrammi dela Cheung che appaiono qui e lì la surclassano ampiamente. Detto questo, complimenti a Ziyi: l'immagine qui sotto è stata a lungo il mio wallpaper - e attualmente ne ho un altro tratto da House of flying daggers.
Il grande romanzo americano
Non so se farete ancora in tempo a trovarlo nelle edicole, ma arrivato laboriosamente a metà dichiaro senza attendere il termine che il volume La dinastia dei paperi (The Life and Times of $crooge McDuck) di Don Rosa uscito recentemente per Repubblica è venerdì, novembre 05, 2004
Creepy Clown Gallery
Ricchissima pluriautoriale galleria di immagini con protagonista un inquietante clown tridimensionale. (via J-walk) giovedì, novembre 04, 2004
mercoledì, novembre 03, 2004
Visto oggi: The village
Nessun rimpianto invece per l'ultimo parto di Shyamalan, in forma smagliante dopo il controverso Signs. Se guardate il trailer (o il poster) vi aspetterete un horror e ne sarete irrimediabilmente delusi; si tratta invece di una specie di favola, in parte storia d'amore, in parte avventura nel bosco. Una storia semplice, per quanto non manchi di alcuni coups de théâtre (è il caso di chiamarli così); ma una storia raccontata benissimo, da un vero maestro dell'affabulazione, capace di attrarci nel suo mondo e di farlo palpitare attorno a noi, di trarre il meglio dai suoi attori senza farne il centro del suo cinema. Non è forse arte, quella di Shyamalan, troppo legato alla narrazione, alla forma racconto; ma averne di narratori così, di questa forza e prepotenza, e anche di questa eleganza (bellissima la sequenza dell'accoltellamento, per esempio), capaci di scegliere forme retoriche cinematografiche note e di usarle con un'efficacia e una sicurezza spiazzanti. Il primo grande film di questa stagione.
Visto ieri: 2046
Dopo un'attesa durata quattro anni è dura dirlo, per me che considero Wong forse il più grande dei registi viventi e sicuramente uno di quelli che ha saputo meglio raccontare ciò che siamo. E' dura ma va fatto, senza peli sulla lingua, e poi alle delusioni sono abituato; non è peraltro il primo film di Wong che non mi convince (l'altro è Happy together). Questo film è poco ispirato, disuguale, gira a vuoto (ecco, l'ho detto), pur regalandoci grandi sequenze e atmosfere (merito, principalmente, di Doyle) e notevoli interpretazioni. Su tutte Zhang Ziyi, mai fotografata così bene, che per una volta interpreta un personaggio lontano dalle sue corde abituali, senza il broncio testardo che la contraddistingue, più leggero, più superficiale, più frivolo. Tony Leung è sempre il grande che è ma è probabilmente mal servito da un doppiaggio che introduce una nota irridente, che ho trovato fastidiosa; Gong Li è quasi irriconoscibile nei panni della Vedova Nera e Faye Wong ci regala ancora il suo perturbante sguardo obliquo e i suoi specchiamenti. Solo che questa volta (capita) Wong aveva poco da dire e quindi si risolve a cannibalizzare le tematiche del suo cinema riproponendole senza l'usuale verve, senza provocare vera emozione. Peccato. Pietra sopra. E adesso aspettiamo Eros. martedì, novembre 02, 2004
In prima linea
Questo blog non può più essere giudicato un osservatore sereno e imparziale delle elezioni americane.
Prime impressioni: House of flying daggers
Ho avuto una visione disturbata quindi posso sbagliare nel giudizio (ma una seconda visione rimedierà); a prima vista House of flying daggers è un passo in là rispetto Hero. Zhang Yimou mette da parte una certa pretenziosità che aveva contrassegnato il lavoro precedente, soprattutto in fase di sceneggiatura, e affronta questo lavoro come un prodotto d'intrattenimento puro, o quasi. Ancora non riesce a muovere i suoi personaggi come se fossero di carne e sangue e non pupazzi di pezza, ma qualcosa in più in questo senso c'è, specie con Andy Lau e il suo sorriso beffardo, presente purtroppo -il sorriso- solo all'inizio (gli attori sono comunque, tutti, sprecati anche qui). La grandeur visiva si sposta leggermente dalla fotografia (comunque notevolissima, dell'esordiente Zhao Xiao-ding) ai costumi, meravigliosi, nella parte iniziale di una magnificenza più che bolliwoodiana. Emi Wada ha lavorato ai costumi di Ran e qui ci dà dentro con altrettanto vigore ed eleganza. Le scene di combattimento sono meno statiche rispetto a quelle di Hero, raccontano qualcosa e non sono una rappresentazione di battaglia scolpita nel marmo; senza arrivare ad apprezzarle grandemente (troppo ralenti, troppi effetti speciali), non sono niente male. La simbologia e il gioco dei colori restano, ma sono più sommessi e meno esibiti; tutto sommato l'assenza di Doyle paradossalmente migliora il prodotto, lo rende meno kitsch, per quanto lo sia comunque, complici diverse sequenze ricche di effetti digitali e alcuni movimenti di macchina avvolgenti e vorticosi. Ma i difetti si sopportano con leggerezza (cosa che con Hero non avveniva) e l'occhio gode. Per procurarselo lunedì, novembre 01, 2004
And the statistic winner is...
Tendo a fidarmi molto di più delle previsioni dei bookmakers, gente che quando decide le quote ci rimette di tasca propria se sbaglia, che di quelle degli analisti, politici o sportivi. Lavorando con le loro quote, effettuando complicati (operazione di inversione), anzi, complicatissimi (operazione di rinormalizzazione) calcoli matematici si ottiene che la probabilità di vittoria di Bush è del 55.0%, quella di Kerry del 38.3%, e quella di un pareggio, con 269 grandi voti ciascuno, del 6.7%. Prepariamo gli ombrelli.
Cina, Cina delle mie brame, chi è l'attrice più bella del reame?
Nel numero in corso di FilmTv Mauro Gervasini dipinge un lusinghiero ritratto di Zhang Ziyi; la confronta tranquillamente con Gong Li e Maggie Cheung e dichiara che secondo lui la Zhang è forse la più bella. Chi conosce la mia passione per la Cheung sa che per me, pur reputando Ziyi una bellissima ragazza, tutto ciò è eresia bella e buona. Parlandone in giro noto però che non tutti sono della mia opinione. Lanciamo così il sondaggio: chi è la più bella tra le attrici cinesi? Avete la possibilità di scegliere tra quattro meraviglie: Gong Li, Maggie Cheung, Zhang Ziyi e Shu Qi (quest'ultima Gervasini non la cita, ma non poteva mancare; le vedete nell'ordine qui sotto). Potete anche votare "altro"; in questo caso vi sarei grato se specificaste nei commenti chi avete scelto e se possibilmente postaste un link ad un'immagine dell'attrice in questione. Current Results
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