Il weblog di Gokachu


sabato, dicembre 31, 2005
I film migliori del 2005 secondo lo scrivente
L'appuntamento annuale con Babbo Natale e Satana sono la stessa persona quest'anno è saltato, e per poco non saltava pure quello con i film migliori. Son tempi difficili, questo blog sta perdendo la sua vocazione cinematografica, cosa ci aspetta non si sa (una quinquennio senza Berlusconi, sperabilmente). Comunque ce l'abbiamo fatta e via, per quest'anno non ve la siete risparmiata.

Un'altra piccola divagazione: siccome nelle prime tre posizioni ci sono ben due film che ho in realtà visto nel 2004, e che si erano già guadagnati uno spazio nel post dell'anno scorso, mi preme dire che i film più belli che ho visto nel 2005 sono, oltre a Il gusto dell'anguria, The Longest Nite e All The Real Girls (non necessariamente in questo ordine). Così magari chi se li è persi li recupera. E già che ci siete, guardatevi pure The Brown Bunny e Peacock.

Ma bando alle ciance, alle eccezioni e alle segnalazioni particolari e passiamo alle categorie di prammatica.

1) Samaria
2) Il gusto dell'anguria
3) Oldboy

Menzioni d'onore: Kung Fu Hustle (aka Kung Fusion) (versione originale), Tokyo Godfathers, Breaking News, Clean, Sin City, Il castello errante di Howl, Crash, Vai e vivrai, Niente da nascondere, Manderlay, A History Of Violence, Una lunga domenica di passioni

Film che mi hanno deluso: Izo, Vital, Non bussare alla mia porta, L'arco, Steamboy

Film che non mi aspettavo granché e invece no: Saw, Viva Zapatero, Le ricamatrici

Film rari o disponibili solo in home video o inediti in Italia che consiglio spassionatamente (non necessariamente usciti nel 2005 ma visti nel 2005): Last Life in the Universe, The Longest Nite, Asoka, One Nite in Mongkok, Tras el cristal, The Brown Bunny, The Taste Of Tea, Peacock, All The Real Girls


Cosa più brutta vista al cinema quest'anno: Mary

Post di cui mi sono compiaciuto alla rilettura: Nessuno. Mala tempora currunt.

Film che si meritava un post e invece no: L'enfant, Million Dollar Baby, Una lunga domenica di passioni







giovedì, dicembre 29, 2005
Protesta locale ( With direct protest button now!)
Leggiamo sul programma del benemerito Cinema Arsenale e scandalizzati pubblichiamo. Scandalizzati ma non stupiti dall'ennesima rivelazione sulla politica della cultura del consiglio comunale presieduto da un tale di nome Paolo Fontanelli.

Scompare dall’intestazione del nostro programma il Comune di Pisa.

Era presente dal 1986, anno della nostra prima convenzione con la pubblica amministrazione. Nel 2001 la convenzione è scaduta e da allora abbiamo continuato a inserire il Comune di Pisa tra gli enti promotori pensando che il mancato rinnovo fosse un problema legato a difficoltà economiche contingenti.

Oggi che ci siamo resi conto che non si tratta di difficoltà economiche ma di scelte politiche, prendiamo atto che il Comune non è più un nostro sostenitore e togliamo il Comune di Pisa dalla nostra intestazione.


NOSTALGHIA

Una delle ragioni prioritarie della mia adesione (1970) e della mia militanza nel vecchio e “dimenticato” PCI era la sua attenzione e sensibilità ai diversi aspetti della cultura, locale, regionale e nazionale; sensibilità e impegno che ho sempre
riscontrato nella lunga esperienza professionale del mio lavoro come dirigente dell’assessorato alla cultura della regione Emilia-Romagna.

C’era un forte impegno degli amministratori, grandi e piccoli, a fare della cultura uno dei momenti centrali del governo di città, paesi e regioni. Cultura intesa come conservazione, valorizzazione e promozione dei diversi patrimoni culturali esistenti nel territorio di competenza. Le chiamavamo “vocazioni” artistiche e culturali.

Uso i verbi al passato perché questa sensibilità va esaurendosi e spegnendosi salvo qualche rara eccezione. La nuova classe dirigente del PDS, prima, e dei DS, oggi, sembra del tutto estranea a questa tradizione e considera la cultura un fatto marginale. Così accade che alcune esperienze storiche rischiano di scomparire o di vedere fortemente limitato il loro ruolo di istituzioni culturali attivo da molti anni.

Tra queste emerge la situazione di Pisa, città straordinaria per “vocazioni” artistiche e culturali che da alcuni anni vede la sua amministrazione culturale sempre più assente.

Oltre alle ricchezze architettoniche e artistiche Pisa ospita una delle esperienze cinematografiche più significative ed importanti dell’intero paese, il cine studio ARSENALE, luogo di promozione e formazione della cultura cinematografica e audiovisiva, strettamente radicato nella città, e legato al pubblico ed ai molti giovani che studiano nelle sue antiche e prestigiose università.

Dal 2001 questa importante istituzione non riceve un adeguato sostegno per assolvere al proprio compito didattico e informativo. Certamente gli enti locali hanno visto ridurre le proprie risorse, ma questa realtà non giustifica questa scelta che dimostra in modo inequivocabile la scarsa sensibilità dell’attuale amministrazione, più attenta magari a manifestazioni “di massa” forse più elettorali, ma di nessun rilievo culturale.

Dimenticando che il governo di una città ha l’obbligo di costruire e sostenere realtà e servizi permanenti per diffondere conoscenza e partecipazione critica da parte del pubblico.

Non si chiede la “carità”, ma il riconoscimento di un impegno, spesso pieno di sacrifici e rischi, che da quasi trent’anni ha segnato e segna profondamente la storia culturale della città e della sua gente.

Giacomo Martini


Se protestare vi pare di una qualche utilità, cliccate qui.



venerdì, dicembre 23, 2005
Il film che pare interessante della settimana
Questo post esce in ritardo e in forma affrettata causa eventi natalizi.

Tre i film papabili: Kirikù e gli animali selvaggi, film d'animazione francese che però scartiamo perché le recensioni che girano ci fan temere non sia al livello (molto alto) del precedente Kirikù e la strega Karabà; Le cronache di Narnia: il leone, la strega, l'armadio, che però essendo un blockbuster non ha bisogno di gran pubblicità, e infine Reinas - Il matrimonio che mancava, surreale commedia spagnola sul tema del matrimonio gay. Dato che quest'ultimo pare godere di una pessima distribuzione e di ottime recensioni, lo scegliamo volentieri a mò di incoraggiamento.




mercoledì, dicembre 21, 2005
Odio politico
Interessante l'invito di Pisanu a tutte le forze politiche ad isolare i violenti, dopo l'aggressione a Borghezio. Sono d'accordo. Si può litigare con parole, si può dire qualsiasi stronzata, ma quando si passa ai fatti è grave, molto grave. Non si fa.

Per esempio Borghezio nel '93 è stato multato (750000 lire) per aver picchiato un bambino marocchino.
Poi qualche anno dopo si è infilato in un treno dove con gentilezza ha pregato alcune signore di colore di spostarsi mentre lui disinfettava i sedili e i suoi numerosi amici filmavano.
Nel 2000 infine ha dato fuoco ai pagliericci di alcuni extracomunitari accampati sotto un ponte di Torino alla testa di una folla armata di fiaccole, ed è stato condannato a 3040 euro di multa.

Insomma, che le forze politiche diano retta al saggio consiglio di Pisanu e isolino, finalmente, Borghezio.



Alia: A History Of Violence
Sebbene sia costruito su una sceneggiatura saputa e risaputa - il passato che ritorna, la famiglia felice che viene sconquassata, l'abisso che incombe dietro la facciata pacifica della vita di provincia -, quasi priva di tematiche proprie della sua poetica e per di più pesantemente ridondante in alcuni punti, sebbene sia quasi un film su commissione, quasi un film pronto per essere girato da qualcun'altro, quasi un film che gli è capitato per caso, il nuovo lavoro di Cronenberg non di meno ha sufficienti frecce al suo arco per costruire la nostra felicità: la scansione lenta delle scene, l'accantonamento repentino e imprevedibile di personaggi che si erano conquistati una loro centralità, la progressione inesorabile, il passaggio brusco alla violenza, l'inquietudine metafisica inoculata nello spettatore, il pessimismo integrale, il mesto, silenzioso, straziante finale.

Non è uno dei Cronenberg migliori che ricordiamo, ma dopo una lunga deriva del nostro verso lidi eleganti, sofisticati ed esangui, è un molto gradito ritorno alla visionarietà terrigna che dopo La Mosca avevamo rivisto solo in Crash. Diffidate delle stroncature e visitate fiduciosi.

P.S. Noterella di costume che avrei messo nei commenti che però in questo momento non funzionano: il pubblico è stato molto rispettoso e silenzioso durante la proiezione.

Il che potrebbe far pensare che fosse un buon pubblico.

Invece no: tra il primo e il secondo tempo (che non hanno avuto intervallo in mezzo ma solo il cartello INTERVALLO) l'obbiettivo del proiettore è passato da quello giusto a quello sbagliato. Per un bel po' la proiezione è andata avanti mostrando un'immagine schiacciatissima. Ora, non solo l'unico della sala che ha gridato QUADRO son stato io, ma se non mi fossi alzato e faticosamente non avessi oltrepassato gli altri spettatori seduti nella mia fila per andare ad avvertire il proiezionista, probabilmente il popolo cinematografico avrebbe visto il film orrendamente appiattito fino alla fine, silenziosamente, senza proferire motto.

Il pubblico silenzioso non è pubblico buono: l'unico pubblico buono è il pubblico morto.





America Oggi: Broken Flowers
L'ultimo film di jim Jarmusch è in realtà l'ultimo film di Bill Murray. Ciò troverà entusiasti i fan dell'attore, che non sono pochi; meno entusiasti i fan del regista, tra i quali mi annovero e che sono molti di meno.

La verve gigionesca e trattenutissima delle ultime prove attoriali di Murray viene appena compressa da Jarmusch: non strabocca come in Lost in Translation o in Acquatici lunatici. Tuttavia non si riesce ad evitare una qualche successione di "gag" così costruite: Murray sta guardando assente nel vuoto-succede qualcosa-Murray si volta e guarda sconsolato la sorgente del rumore. Queste gag ci hanno stufato; va segnalato però che in questo film perlomeno non solleva il sopracciglio. Se lo dovessimo giudicare come un film di Murray, è il migliore degli ultimi tempi, quello in cui la sua nuova maschera viene utilizzata meglio.

Ma come film di Jarmusch, siamo di fronte ad un film ampiamente deludente. Solo in alcuni momenti la vena poetica del regista emerge; alla meglio dobbiamo accontentarci della preziosità del soggetto e di qualche lampo di sceneggiatura, come il finale tronco, sospeso, bello. Ma potrebbe essere quasi il film di qualcun'altro, e ciò ci dispiace.






Palcoscenico: Giovanna d'Arco
Non si può negare che Monica Guerritore sia un'attrice dotata di grande talento, di forte presenza scenica, e che creda fortemente in quello che fa, mettendoci tutta se stessa. Tutto ciò emerge splendidamente dal suo monologo.

Non si può però evitare di dire che la sua scelta di regia di infiorettare lo spettacolo con una scelta di musiche piuttosto pomposa e cafona (Show Must Go On, Carmina Burana et al) e con immagini proiettate che più pleonastiche non si potrebbe immaginare (il film di Dryer, Falcone e Borsellino, Martin Luther King, cieli stellati et similia) rende inevitabile la discesa nel trash.

Sarà per la prossima, Monica. Ti si segue con simpatia.




martedì, dicembre 20, 2005
L'heavy rotation mi sta dando alla testa

Not nit not
Nit no not
Nit nit folly bololey
Alife my larder
Alife my larder

I can't forsake you
Or forsqueak you
Alife my larder
Alife my larder



domenica, dicembre 18, 2005
Ascolti in casa Gokachu
E con questo spero che ogni dubbio sull'inattualità della rubrica si dissipi definitivamente.



venerdì, dicembre 16, 2005
Il film che pare interessante della settimana
Questa volta la scelta è facilissima. Tralasciando i blockbuster natalizi, sia quelli "buoni" che quelli "cattivi" (=italiani), che certo non hanno bisogno della mia segnalazione e lasciando perdere anche un film che credo sia bruttino per quanto zeppo zeppo di magnifiche star cinesi (che interpretano, ovviamente, dei personaggi giapponesi), ne resta uno solo: A History Of Violence.

Su di esso giocano due punti a favore, oltre a quello di essere l'unico papabile: sebbene non abbia stravisto né per eXistenZ né per (scandalo!) Spider pongo Cronenberg tra i numi tutelari del cinema, e le notizie che parlano a proposito di questo film di ritorno del nostro al cinema di genere non possono che farmi piacere; secondariamente le recensioni, sia della critica che del pubblico, si potrebbero tranquillamente definire entusiaste. Missione compiuta, poltrona prenotata.





giovedì, dicembre 15, 2005
Invito a teatro (per fiorentini e dintorni)
Enormi conigli in platea. Una donna partorisce, nuda, una bambola. Sangue. Spari di fucile sul palcoscenico. Un corvo dondola una fetta di emmenthal. Un viso femminile schiacciato contro una parete trasparente. Cinque esseri bianchi, enormi e pelosi avanzano a fatica tra la neve. Un bambino risorge dalla tomba - ma è solo un attimo.



E' difficile raccontare uno spettacolo della Raffaello Sanzio Socìetas - specie se lo si è solo intravisto. E' qualcosa di osceno. E' qualcosa di sacro. E' qualcosa di magico. E' qualcosa di terribile. E' l'inizio di Persona, o il finale di 2001. E' qualcosa che va visto coi propri occhi, e non con quelli di un altro. E' quello che il teatro dovrebbe sempre essere.
E' il mito che si fa carne, sanguinando.



Nella mia vita ho visto non pochi spettacoli teatrali; se dovessi citare i cinque di cui porto addosso le cicatrici più evidenti, almeno un paio sarebbero loro. Almeno.



Non sono un tipo che si sposta facilmente, ma ho affrontato viaggi piuttosto lunghi al solo scopo di vederli. Non me ne sono pentito. Il 22 e il 23 sono alla Pergola di Firenze con il terzo episodio della Tragedia Endogonidia.
Un consiglio spassionato. Un consiglio appassionato. Smuovete le chiappe e andateci.



Per qualche squarcio, qui. Per informazioni, Cango.




lunedì, dicembre 12, 2005


domenica, dicembre 11, 2005
Ascolti in casa Gokachu
Meno trascinante di Melody Of Certain Damaged Lemons, però...



venerdì, dicembre 09, 2005


Il film che pare interessante della settimana
Facciamola breve perché di film questo venerdì ne escono solo quattro (e meno male, che sono indietro). Ciò nonostante ben tre su quattro sarebbero stati degni di vincere. Due si beccano la segnalazione nuda.

Il primo è Shanghai Dreams di Wang Xiao-Shuai, che andrò a vedere sicuramente perché il regista è autore del terzo film migliore dell'anno 2002 secondo lo scrivente, Le biciclette di Pechino, e quindi va seguito con attenzione. Sperando che esca da qualche parte (sennò c'è mamma cineclub che recupera tutto, alla distanza).

Il secondo è un titolo blasonatissimo e benissimo recensito, opera prima di una video e performace artist molto conosciuta come July Miranda che rischia di risultare, a posteriori, il film più bello della settimana: Me and You and Everyone We Know. Non non me lo perderò sicuramente (anche qui sarà da verificare la distribuzione; in America ha incassato meno di 4 milioni di dollari).

Ma il film che vince in modo scontato il titolo di "che pare interessante" e l'onor della locandina è invece lo sperabilmente meglio distribuito L'enfant di Jean-Pierre e Luc Dardenne. Le recensioni sono abbondanti e ottime, come pure i premi (ha vinto la Palma d'Oro a Cannes 2005, per chi lo avesse scordato). Ma in realtà per la quarta settimana di seguito prevale il pregiudizio: i fratelli belgi son gli autori di La promessa, Il figlio ma soprattutto di Rosetta e son gente che sa dare sani pugni nello stomaco al pubblico e che fa cinema morale ma non moralistico né didascalico (e nemmeno sociale alla Loach). Gli voglio bene, vogliategliene anche voi.




giovedì, dicembre 08, 2005
Un Sagem My X5-2 al concerto dei Baustelle

The Cage, concerto dei Baustelle, 7/12/05
Other takes: 1, 2, 3, 4



lunedì, dicembre 05, 2005


Giovane (?) artista (?) Gokachu

The Cage, concerto dei Supersystem, 3/12/05
Other takes: 1, 2



venerdì, dicembre 02, 2005
Il film che pare interessante della settimana
Per la terza settimana consecutiva (e per la prossima temo che sarà uguale) non c'è uno straccio di ricerca, di analisi delle testimonianze, di lettura delle recensioni dietro la mia scelta. Si va di puro pregiudizio, perché entra in campo un altro dei miei eroi senza macchia e senza paura, e speriamo che vada meglio che con Ferrara. Si tratta di Jim Jarmusch, che il vostro fedele scribacchino segue e apprezza dai tempi di Stranger Than Paradise, cioè da un bel po'. Nel frattempo ci sono stati molti alti (molto alti) e ben pochi bassi (non poi così bassi), per cui vado di conserva. Lui si chiama Jim Jarmusch, il film si chiama Broken Flowers; ci recita Bill Murray, che ormai da Lost in Translation non sopporto più amenochenonlodirigaJarmusch. Che è il nostro caso, quindi non dispero.

Dopo l'atto di fede, cerchiamo di convincere anche i non credenti: il film ha vinto il Gran Premio della Giuria all'ultimo festival di Cannes, si becca un 7.5. su imdb, un 87% su rottentomatoes, il New York Times lo definisce uno "sly, touching film", secondo Liberation è uno "film doux-amer, bijou désenchanté et minimaliste", El Pais definisce Jarmusch "un director exquisito que no rueda jamás un solo metro de película de más", e il Frankfurter Allgemeine ci rassicura sulla prestazione dell'interprete dicendo che "mit seinem makellosen Timing eine Figur formt, die komisch ist und auch ein wenig tragisch, der eine Vergangenheit zuwächst, aus der sich für die Gegenwart nichts ergeben hat". E altre lingue non ne so.




giovedì, dicembre 01, 2005
Segnalazioni televisive con un certo anticipo

Domenica notte, Raitre



mercoledì, novembre 30, 2005
America oggi: Serenity
Autorevoli personalità definiscono il trash come emulazione fallita. E sicuramente trash, al di là delle recensioni molto lusinghiere che lo accompagnano, è questo Serenity, sordido miscuglio di mercenari duri ma dal cuore d'oro come Han Solo, di ragazze esili e micidiali come Alita, di furiosi combattimenti spaziali contro bestie-uomo come Fantasmi su Marte nonché di pseudodrammi etici davvero risibili, di storiazze d'amore ridicole e di colpi di scena telefonati un quarto d'ora prima.

Stabilito che di trash si tratta, vi dirò anche che non è nemmeno quel tipo di trash godibile e divertente, di cui si ride. E' opaco e spento come una pallottola sparata durante la guerra di secessione.

Unici motivi di un certo diletto, le pur non ben coreografate scene in cui la piccola River stende decine di uomini muscolosi e il volto (piuttosto inespressivo, per la verità) di Summer Glau.




Sindrome cinese: Il gusto dell'anguria
Il cinema di poesia esiste ancora? Sì, finché Tsai continuerà a lavorare.

In questo suo ultimo lavoro si riavvicina al tema e allo stile di The Hole, il suo film più accessibile finora, il più ottimistico, e anche probabilmente il migliore; a Taipei un cataclisma metereologico (là la continua pioggia, qui la siccità) scuote le solitudini degli abitanti, ormai simili ad insetti (là scarafaggi, qui formiche), provocando l'avvicinamento di due di loro al di là del muro, metaforico e reale, che li divide, fino a raggiungere la massima vicinanza possibile. Che non è poi molta. La narrazione è contrappuntata da (quattro là, cinque qua) stravaganti e bellissimi intermezzi musicali in cui i sentimenti dei personaggi vengono messi in musica in modo decisamente grottesco e che alleggeriscono l'impatto del film, che vive altrimenti di lunghe inquadrature, dialoghi scarni e una storia esile.


Ma se il film in fondo dice la stessa cosa del precedente, tutto sommato senza eguagliarlo, la dice in modo sublime, ricco di inventiva, geniale, duramente poetico; la serie di inquadrature finali sono probabilmente quanto di più rarefatto, distillato, simbolico, romantico e contemporaneamente greve, materico, esplicito, pornografico ci sia stato dato da vedere negli ultimi anni. Poesia che lacera e non conforta; grido di poeta e non bella frase da assaporare. Necessario.


Nota: alla "prima visione" l'impressione non era stata proprio la stessa.



martedì, novembre 29, 2005
Per fiorentini e dintorni
Se volete vedere qualche documentario, dal 2 all'8 dicembre a Firenze c'è il Festival dei Popoli. Credo che mancherò.





domenica, novembre 27, 2005
Ascolti in casa Gokachu
Decisamente sopravvalutati, ma un pugno di brani sono davvero buoni.



venerdì, novembre 25, 2005
Il film che pare interessante della settimana
Chi mi conosce almeno un po' saprà che è stato molto facile scegliere il film di questa settimana. Sì, uscivano diversi film degni di nota di cui lascio una labile traccia a piè di pagina: L'ignoto spazio profondo, film di fantaqualcosa diretto da Werner Herzog è stato l'unico per cui ho fatto un pensierino per una frazione di secondo, ma anche Serenity sembra essere assai promettente, essendo finito nei migliori 300 film di tutti i tempi di imdb e essendosi guadagnato un 80% di recensioni positive su rottentomatoes. Poi ci sono i film che difficilmente avrebbero potuto vincere anche in settimane normali ma che paiono meritevoli, come, entrambi a dispetto del titolo italiano, Zucker! ...come diventare ebreo in 7 giorni e Nickname: Enigmista. Infine esce un superblockbuster che non avete bisogno di leggere queste pagine per conoscere, e il cui nome non verrà neanche pronunciato.

Ma bando alle ciance e ai preamboli messi lì apposta per far contenti tutti, e veniamo a noi. Il film che pare interessante della settimana è - anche qui malgrado il titolo italiano, ché quello originale vuol dire "Una nuvola al bordo del cielo" e quello internazionale "La nuvola discola" - Il gusto dell'anguria; non abbiamo bisogno di andare a cercare recensioni e giudizi altrui perché siamo sorretti da un fortissimo pregiudizio. Positivo. Noi qui si ama Tsai Ming-liang, si è pianto con Vive l'amour e cantato con The Hole, e il nostro non ci ha mai tradito. Anche i film "minori" ci sono piaciuti, e molto. Ma soprattutto, si disperava che potesse essere distribuito, visto che il precedente (e molto bello) Goodbye Dragon Inn non ha trovato la via delle sale italiane. Insomma un (in)atteso ritorno. Saremo in prima fila. E voi?


Le immagini tratte da queste film son troppo belle per non segnalarne qualcuna: 1, 2, 3, 4



Recensioni di una frase
Mary di Abel Ferrara è stato uno spreco di tempo (miei) e di soldi (miei), ma non sarà un ulteriore spreco di spazio in questo blog.



mercoledì, novembre 23, 2005
Dove si anticipa la polemica che infurierà altrove e si provoca pesantemente
Premetto che, ovviamente, non ci si può fidare troppo di un dizionario di cinema che attribuisce due stelline e mezzo ad Akira e tre a Sátántángo. Che odia Von Trier al punto di dare due stelline a Dogville.

Tuttavia, visto che alcuni (molti) sicuramente si lamenteranno della valutazione data ad un film di un giovane regista coreano di cognome Park (persino io gli avrei dato di più), provoco dicendo che se tre stelline e mezzo sono il voto di Samaria e tre quello di Bad Guy, Oldboy è stato perfino sopravvalutato.



lunedì, novembre 21, 2005
Giovane (?) artista (?) Gokachu

Flog, concerto delle CocoRosie, 19/11/05
More takes: 1, 2, 3



domenica, novembre 20, 2005


venerdì, novembre 18, 2005
Il film che pare interessante della settimana
Sezione documentari: esce La marcia dei pinguini.
Probabilmente il documentario appena citato è anche il film più bello della settimana. Le critiche parlano bene anche di Lord of war e Il vento del perdono. Va pure detto che Wolf Creek è verosimilmente un horror più che passabile.

Tante citazioni perché il film prescelto è probabilmente inferiore a questi quattro, nonostante il Gran Premio vinto a Venezia; ma paghiamo dazio di militanza. Se esce un film di Abel Ferrara non possiamo rimanere indifferenti, è un piccolo grande evento che attendevamo da molto, troppo tempo; il nostro interesse è tutto rivolto lì. Essendo uscito a Venezia, ci sono già numerose recensioni italiane al film, sia di giornalisti che di blogger. Tutte poco affidabili in quanto festivaliere. Signori, Mary.





giovedì, novembre 17, 2005
Consigli per gli acquisti
E' in edicola per Repubblica un altro volume a fumetti firmato da Frank Miller. Incentrato sulla figura di Devil, il volume raccoglie la celebre miniserie Man without fear prodotta in collaborazione con John Romita Jr. oltre ad un non ben identificato ma benvenuto Il ritorno di Elektra. 'nuff said.




mercoledì, novembre 16, 2005
America Oggi: Crash
E' davvero spudorato il quasi esordio alla regia dello sceneggiatore Paul Haggis.

In primo luogo spudorato nel suo rifarsi in modo terribilmente esplicito ad un modello altissimo, il Magnolia di Paul Thomas Anderson, che a sua volta era debitore di un altro grandissimo film, America Oggi di Robert Altman. Il debito non riguarda solo la struttura corale e fratta, unita solo dal disastro e dall'emergenza, il che sarebbe davvero irrilevante (come lo è per Magnolia nei confronti di America Oggi); il modello è visibile nello stile, a volte in modo addirittura imbarazzante, come quando i vari personaggi vengono inquadrati con lenti carrelli laterali mentre si ascolta una canzone, esattamente come accadeva in un momento memorabile di Magnolia. Purtroppo Haggis non ha la tecnica sopraffina o il gusto compositivo di Anderson e da questo punto di vista cade molto, molto al di qua del modello.

Secondo difetto capitale del film è quello di lasciar entrare nella sala l'odore della cucina, della produzione del lavoro; chi si indigna per le manipolazioni emotive di Von Trier qui avrà molto di più per cui lamentarsi. Il roller coaster spirituale dello spettatore è guidatissimo e regolamentatissimo, e fin qui tutto bene, almeno per non ritiene la manipolazione essere reato; solo che il regolamento e la guida sono evidenti, sono scritti dappertutto, il percorso emotivo che seguiamo è così artefatto da quasi non farci cadere nel trabocchetto, tanto è segnalato. Il gioco ad incastri è troppo preciso, troppo matematico, macchinoso; lo sviluppo drammaturgico è troppo pulito, cechoviano nel suo non mettere in scena nulla che non sia funzionale alla storia; il percorso dei personaggi è troppo pensato e programmatico. La sceneggiatura, che certo è bella e racconta delle cose importanti sull'America ma anche sull'Europa di oggi, ha il sopravvento sul film e quasi lo soffoca.

Dopo questo lungo severo preambolo arriviamo a dire che, malgrado i grandi difetti, il film ci è piaciuto molto. La sua totale mancanza di pudore e la sua pretenziosa volontà di colpire alto gli permettono di raggiungere un calor bianco emotivo davvero notevole, stordente, fortissimo; purché ci si lasci andare "nonostante tutto", nonostante la malcelata volontà dell'autore di raggiungere proprio quell'effetto. Commozione, lacrime, dolore, sangue; ironia, sconfitta, morte, umiliazione; speranza, vergogna, dignità, riscatto. In abbondanza, senza risparmio, senza ritegno. Così lancinanti e ben supportati dagli attori da diventare la nostra sconfitta, la nostra umiliazione, il nostro riscatto. Non è poco, di questi tempi.

Da non perdere, non per tutti.




sabato, novembre 12, 2005


Recensioni svogliate: Corpse Bride
Dopo tanto Burton sottotono, questo film è una boccata d'ossigeno. Ma non una boccata piena, soddisfacente; pur essendo un bel film conto diversi difetti che alla fine me lo fanno ritenere non eccezionale.
Elencherò solo quelli, ché i pregi li potete trovare altrove: la comicità grottesca è un po' caccolosa, le canzoni di Elfman non sono al livello di quelle di Nightmare before Christmas, il goffo e simpatico protagonista è troppo goffo e simpatico per starci veramente simpatico, la sua tenera fidanzatina è un tipo insignificante, i genitori sono eccessivamente caricaturali. Persino il titolo fa rimpangere quello provvisorio, A grave misunderstanding (ridotto a strillone), che faceva tanto Oscar Wilde. E un po' di Wilde in più in sceneggiatura ci sarebbe stato bene, in quell'ambientazione vittoriana. Un po' di humor sottile, di wittiness.

Però che bella lei, Emily, la sposa cadavere: la sua apparizione è una folgorazione, la sua uscita di scena una meraviglia, e tra l'una e l'altra è l'unico personaggio davvero vivo. Salva, decisamente, il film.




venerdì, novembre 11, 2005
Il film che pare interessante della settimana
Oggi escono film di registi ilustri, ma li snobberemo spietatamente a favore di un opera seconda. L'opera seconda è peraltro di un regista di cui non abbiamo affatto visto l'opera prima, tal Paul Haggis. Il nome però non ci è del tutto ignoto, visto che si tratta dello sceneggiatore e del co-produttore di Million Dollar Baby. Il film si chiama Crash.

Di questo film parla molto bene il New Yorker, e in generale la stampa americana; a quella francese in maggioranza è piaciuto; su imdb si trova un qualche centinaio di recensioni entusiaste; sempre su imdb risulta posizionato addirittura come 57esimo più bel film di tutti i tempi. Un gradino sopra M di Fritz Lang e nove sopra Tempi moderni, tanto per intenderci.

Non speriamo tanto. Ci basta valga ampiamente il costo del biglietto. E che Thandie Newton stia sullo schermo per più di qualche minuto.




giovedì, novembre 10, 2005


mercoledì, novembre 09, 2005
Alia: Vai e vivrai
Mette tanta carne al fuoco, Mihaileanu in questo film: l'idea è quella di raccontare la storia di un giovane in tempi convulsi e storicamente determinati, quasi come ne La certosa di Parma. La complessità della vicenda storica in cui la storia si muove è notevole: attraverso il giovane etiope falsamente ebreo Schlomo si vuole raccontare l'epopea tragica dei Falasha, gli ebrei etiopi immigrati in Israele e ancora non del tutto accettati all'interno della società israeliana; il dramma della guerra in Israele; il lacerante scontro tra l'amore per i figli e l'amore per il proprio paese; il razzismo; una storia d'amore coniugale; una storia d'amore filiale; una storia di innamoramento e amore.

Non ci riesce, Mihaileanu in questo film, a cuocere tutta la carne che mette al fuoco; nonostante la lunga durata molti aspetti risultano appena toccati, ci appaiono di sfuggita nella loro problematicità; alcuni momenti narrativi risultano affrettati e poco convincenti (il periodo parigino, per esempio). Stilisticamente poi in alcuni punti l'emozione viene decisamente forzata, per esempio con l'utilizzo di ralenti, o con controcampi su chi guarda la scena che noi guardiamo e si commuove (come noi ci commuoviamo).

Ma non si può non perdonarlo.

Perché al di là del dramma storico alcuni momenti di Vai e vivrai sono davvero toccanti, perché al didascalismo che in alcuni punti prende il predominio (all'inizio, per esempio), contrappone lo straordinario candore del racconto di un giovane a cui è davvero difficile non partecipare; perché i suoi personaggi, anche se rappresentano emblematicamente una posizione nel dramma degli Falasha, risultano vivi e pulsanti. Perché nonostante qualche colpo basso prevalgono il pudore e la compostezza narrativa, pudore e compostezza che rendono più duri i colpi bassi. Il merito è soprattutto degli attori, tutti stupendi; a noi è piaciuta soprattutto la madre adottiva, Yaël Abecassis. Da vedere, ottimo.




martedì, novembre 08, 2005
Mi appello al principio di autorità
Visto che tra i cinebloggers sono l'unico insieme a Murda (in una insolita ma non unica alleanza) a pensare che L'arco non sia proprio un gran film, mi appello al Bocchi che oggi su FilmTv scrive:

Kim stavolta tende troppo le sue corde, e infastidisce. Il panismo conclusivo, durante la celebrazione e relativa transustanziazione pagana, è decisamente pacchiano, quando L'isola aveva già detto tutto, e con ben altra efficacia. E poi, più procede, più L'arco si attorciglia su se stesso, sfiorando il ridicolo e impantanandosi in quella retorica simbolista che in Kim è sempre stata strumento per una consapevolezza interiore, e non trousse per una vetrina turistica.

Condivido praticamente tutto, anche il difetto di ficcare troppe virgole nelle frasi.



Visto nelle ultime settimane - QUIZ
It's the time of the season
When the love runs high
In this time, give it to me easy
And let me try
With pleasured hands

To take you and the sun to
Promised lands
To show you every one
It's the time of the season for loving

What's your name?
(What's your name?)
Who's your daddy?
(Who's your daddy? He rich?)
Is he rich like me?

Has he taken
(Has he taken)
Any time
(Any time to show)
To show you what you need to live?
Tell it to me slowly
Tell you what?
I really want to know
It's the time of the season for loving

What's your name?
(What's your name?)
Who's your daddy?
(Who's your daddy? He rich?)
Is he rich like me?

Has he taken
(Has he taken)
Any time
(Any time to show)
To show you what you need to live?
Tell it to me slowly
Tell you what?
I really want to know
It's the time of the season for loving



domenica, novembre 06, 2005
Giovane (?) artista (?) Gokachu

Flog, concerto degli Ozric Tentacles, 26/10/05
More takes: 1, 2, 3, 4



sabato, novembre 05, 2005
Il 38° parallelo: L'arco
Il nuovo film di Kim è sicuramente un film interlocutorio nella sua carriera; girato in poco tempo, ha tutti gli elementi del film minore. L'emozione è raffreddata, il numero dei protagonisti è più contenuto del solito, non ci sono vicende secondarie ma solo quella principale. E fin qui. Ma la pellicola presenta dei limiti più profondi: rischia, in certi punti, di diventare un film "orientale" in senso classico, ovvero paesaggistico, ricco di significati profondi o pseudotali, abbondante di metafore un po' kitsch, e alla fine voglioso di dire qualcosa sul senso della Vita. Roba tipo Maghi e viaggiatori, per intenderci: il fallimento dell'applicazione del buddismo all'arte cinematografica.

Parte in modo ottimo, disegnando con poche, vivide pennellate l'ennesimo mondo secluso ed emarginato della sua cinematografia; diciamo che tutto va a meraviglia fin quando cominciano ad apparire alcune crepe nel solido affresco: un controluce decisamente poco elegante (!), tronfio della sua banale bellezza; l'insistito utilizzo a fini lirici di "musica falsamente dietetica", come si scrive altrove; il disegno maldestro di tutti i personaggi diversi dai due protagonisti. Sul finale i difetti esplodono e ingoiano il film senza scampo. Mai si era visto in Kim, un artista in grado di sussurrare metafore lancinanti con garbo infinito, tanto grido e schiamazzo nel simbolismo. Tanta volgarità, arrivo a dire.

Che resta. Alcune vivide immagini, di bellezza non banale (ce ne sono, e molte, anche sul finale); i sorrisi di Han Yeo-reum; i primi notevoli minuti. Se però Ferro 3 ci aveva fatto temere in un deragliamento del nostro dalla sua poetica lacerata verso un'astrazione raffinata, eterea e decisamente meno grande e più comune, incoraggiato in questo da pubblico e critica (da noi meno) ma anche dall'indubbia compattezza del risultato, L'arco da questo punto di vista ci fa ben sperare: ci appare evidente che il nostro è arrivato all'argine, ha raggiunto il limite di questo suo spostamento. Ora può riarrangiare la rotta.

Alternativamente*:

Film che quant'altri mai ha scatenato nei cinebloggers entusiasmi altamente immotivati, per non dire sonore cantonate, è un film ruffiano, che non perturba, non sedimenta, irrita... la poetica di Kim, quella vera che noi qui si amava, sembra essersi irrimediabilmente perduta dietro una svolazzante fuffa festivaliera che niente aggiunge a quanto già detto (e in ben altro modo), e anzi getta una luce dubbia sulla sincerità di certe sue opere precedenti. Non dico che non ci sia più da fidarsi di lui; confidiamo in un ritorno alla forma e all'impegno, sperando che prenda atto dello scivolone. Chi si avvicinasse oggi all'opera di Kim, non cominci da qui. Piuttosto, da qui. (courtesy of Ohdaesu)


*DISCLAIMER: il pezzo è stato scritto da Ohdaesu prima che io scrivessi il mio; non rappresenta le sue opinioni ma quelle che pensava fossero le mie. Il mio pezzo è stato scritto indipendentemente da quello (anche se ovviamente lo avevo già letto); fatti i dovuti distinguo le somiglianze sono però inquietanti.



Typos creativi
Leggevo la recensione de L'arco su cinemacoreano.it quando mi sono imbattuto in un refuso notevole: "la musica falsamente dietetica toglie invece di aggiungere".



venerdì, novembre 04, 2005
Recensioni svogliate
Ormai l'assenza di recensioni cinematografiche "serie" da questo blog perdura da un mese e mezzo. Qualcosa vorrà dire.

Dear Wendy è un interessante ibrido tra il western alla Hawks e il romanzo di formazione alla Weir, per fortuna senza grilli parlanti o Robin Williams nei paraggi. L'attenzione allo sviluppo psicologico dei personaggi, al di là della dinamica metafisica della trama, lo rende più un film di Vintenberg che di Von Trier; ciò non toglie che sia cinema epico ugualmente, una parabola sull'umanità (meno pessimistica e molto più romantica di quelle di Von Trier), che alla fine lascia riflessivi e senza soluzioni prefabbricate. Dal punto registico vanno rilevate alcune trovate alla Dogville (o alla Magnolia) e deprecata una voce fuori campo insistente e onnipresente per quasi tre quarti di film. Non imperdibile, ma degno di una visita.

Manderlay è in tutti i sensi il seguito di Dogville , e rispetto a questo soffre di alcune mancanze. Ci manca la novità, la sorpresa della realizzazione scenica, che qui è poi meno estremizzata, con più muri sul set; ci manca Nicole Kidman; ci manca la forza della amara parabola del primo film.
E' un film più debole rispetto al capostipite, ma la cosa è quasi naturale. Von Trier ha inventato un modo di introdurre il teatro brechtiano al cinema davvero geniale, che conserva la recitazione naturalistica degli attori ma ottiene ugualmente straniamento e epicità; se nel primo film si appoggiava decisamente a Brecht mettendo in scena una variazione de L'anima buona del Sezuan qui naviga più liberamente ma con meno grandezza propositiva e con meno possibilità di sorprenderci. Niente di male; per me potrebbe portare l'esperimento ben al di là della trilogia americana e produrre decine di film con questo modulo. Tutto sommato è come andare a teatro; la disillusa visione dell'umanità che traspare dalle storie mi è poi particolarmente congeniale. L'unico appunto che faccio è simile a quello del primo film; i titoli di coda rendono la vicenda prettamente "americana"; se non ci fossero, se ci si mantenesse in un ambito più universale, preferirei. Questi non sono gli americani, questa è l'umanità.

Niente da nascondere sembra produrre nei recensori una insana necessità di usare termini come "universo diegetico" o "pensiero lockiano", e questo è male. Però è indubbio che è un film di cui è molto difficile parlare, perché ci pone di fronte non ad un enigma ma a un mistero. Freddo e algido ma non privo di anima come tanto cinema teorico, colloca lo spettatore nello stesso luogo dei personaggi, di fronte ad un mondo illuminato parzialmente da lampi di luce e che ci resta indecifrabile, incomprensibile. Rispetto ad altri lavori di Haneke, a una certa distanza dalla visione posso dire che ferisce meno in profondità, sedimenta di meno, è meno tossico. Manifesta inoltre una forte caratterizzazione politica, una decisa "francesitudine" che rende meno coinvolgente il tema, forse, per un italiano.
Però certamente da vedere.

The Descent è un horror che sta generando entusiasmi eccessivi, ma non si può negare che abbia molte frecce al suo arco. Claustrofobico, secco, non privo di ironia, girato con abilità, sceneggiato con bravura, recitato con convizione. Onesto.






Il film che pare interessante della settimana
Da questa volta viene introdotta, all'interno di questa rubrica, la categoria speciale "documentari". Lo faccio perché difficilmente trovo un documentario più interessante di un film di fiction (è sicuramente un mio limite), quindi sarebbe per loro difficile trovare spazio e segnalazione qui. E non sarebbe giusto.
Vi segnalo quindi per la categoria "documentari" l'uscita di Born into Brothels, che si guadagna un 7.9 su imdb e un 96% su rotten tomatoes. Insomma una capatina ce la si potrebbe pure fare.

Il film "che pare interessante" della settimana è invece Vai e vivrai, che paradossalmente non teme confronti neanche con quel blasonatissimo documentario: 8.2 su imdb, vincitore del premio del pubblico, del premio ecumenico della giuria e del premio "Label Europa Cinemas" all'ultimo festival di Berlino, recitato in aramaico, ebraico e francese, e apprezzato da molti critici d'oltralpe.

Sempre che esca da qualche parte.




mercoledì, novembre 02, 2005